Ad Aleppo l'asse russo-iraniano vola, quello Obama-sauditi arranca
Roma. La guerra in Siria può essere spiegata anche come lo scontro tra due grandi schieramenti: da una parte quello formato da Russia e Iran e dall’altra quello di americani e sauditi assieme. Questa seconda alleanza arriva in condizioni malandate al termine del doppio mandato di Barack Obama. La campagna di devastazione lanciata da aviazione russa e governo siriano contro Aleppo negli ultimi nove giorni – “modello Grozny”, hanno scritto ieri l’Economist e Foreign Policy – sta diventando un nuovo test di tenuta per quel che rimane di un pilastro della politica americana in medio oriente – l’intesa scontata con i Saud.
Una settimana fa nella capitale saudita Riad c’è stato un incontro confidenziale tra le intelligence di America, Qatar, Arabia Saudita e Turchia, in cui si è discussa la possibile reazione alle vittorie dentro Aleppo di russi e governo siriano – ha scritto giovedì un sito a pagamento vicino ai servizi francesi, Intelligence online. Ancora una volta l’argomento era: dare o non dare all’opposizione siriana i micidiali Manpads, i missili da spalla capaci di abbattere gli aerei?
Alcuni ufficiali americani hanno confermato tre giorni fa al Wall Street Journal – senza però citare l’incontro di Riad – che è in corso una discussione “tra alleati” su come armare i gruppi siriani non estremisti che combattono contro Bashar el Assad e contro lo Stato islamico (al dipartimento di stato americano sta prendendo piede l’acronimo Aog, Armed Opposition Group, con cui ci sono canali sempre più aperti, scrive l’analista Sam Heller da Beirut). Le opzioni che l’Amministrazione americana potrebbe approvare assieme ai sauditi sono due: armi a lungo raggio capaci di colpire le postazioni d’artiglieria che in questo momento battono Aleppo oppure sistemi antiaereo pesanti e molto più difficili da muovere e da nascondere dei Manpads, che possono essere trasportati nel bagagliaio di un’automobile e sono l’incubo dei servizi di sicurezza in tutto il mondo (che si pongono la domanda inevitabile: cosa succede se uno di quei missili da spalla finisce in mano a un gruppo terrorista nascosto vicino alle piste di un aeroporto civile – e quindi in grado di inquadrare un jet carico di passeggeri mentre è in fase di decollo o mentre sta scendendo verso terra?). Su tutto questo scenario incombe anche la data delle elezioni americane, che senz’altro ha un effetto paralizzante sulla Casa Bianca. Ogni errore commesso ora potrebbe essere un regalo alla campagna del candidato repubblicano Donald Trump.
Così, mentre il viceministro degli Esteri russo Sergei Ryabkov definisce l’offerta di una nuova tregua di sette giorni da parte di John Kerry “il frutto di un esaurimento nervoso”, i sauditi potrebbero avere già cominciato in Siria un “programma Grad”, dal nome di un razzo che colpisce obiettivi al suolo e può essere sparato con precisione approssimativa dal pianale di un camion. I Grad stanno apparendo in Siria nelle aree controllate dai gruppi armati con sempre maggiore frequenza, hanno una gittata di circa 30 chilometri e quindi potrebbero colpire le piste da cui partono i raid aerei contro Aleppo – l’effetto sarebbe quello di fermare i bombardamenti. Ma cosa succede se i gruppi armati li puntano su obiettivi civili nelle aree controllate dal governo?
Sull’alleanza agli sgoccioli tra sauditi e Amministrazione americana pesa anche il voto del Congresso, che ha dato il via libera alle famiglie di vittime degli attacchi dell’11 settembre che volessero provare a fare causa adducendo un legame (mai ancora dimostrato) tra governo saudita e attentatori di al Qaida. Il presidente Obama aveva chiesto di non farlo, ma la pressione era troppo forte. Gli effetti a lungo termine sui rapporti con i sauditi sono sconosciuti.