Le colpe dell'Ue e la forza di Orbán nel referendum d'Ungheria
Milano. Otto milioni di ungheresi sono chiamati questa domenica a esprimere in un referendum il loro assenso o dissenso sul seguente quesito: “Vuoi permettere all’Unione europea di decidere, senza previa approvazione da parte del Parlamento nazionale, la dislocazione in Ungheria di cittadini non ungheresi?”. L’anno scorso, il Consiglio dei primi ministri e capi di stato dell’Ue aveva votato – contro il parere di Ungheria, Repubblica Ceca, Slovacchia e Romania – a favore di un piano di ricollocamento dall’Italia e dalla Grecia di 160 mila profughi. All’Ungheria ne toccherebbero 2.300, ma il premier Viktor Orbán, non ne vuole sapere, e così ha indetto il referendum (la formulazione del quesito referendario è curiosa, considerando che anche i cittadini dell’Ue non sono ungheresi). E’ richiesto un quorum, ma al governo importa che a vincere sia comunque il “no”, e questo è l’esito considerato a oggi più probabile. Bruxelles è in allarme, Berlino anche.
Preoccupati si mostrano anche alcuni intellettuali ungheresi. Tra questi lo scrittore Gergely Péterfy che sul quotidiano Nepszabadsag mette in guardia dall’“oppio moscovita” (che si potrebbe tradurre con influenza putiniana) istillato da tempo nel popolo ungherese: “La componente più importante dell’oppio moscovita è la tesi dello straniero di colore che vuole far fuori l’uomo bianco cristiano… Il suo alleato è lo straniero travestito da uomo bianco che trama contro l’Europa dal suo interno: cioè il nichilista/il liberale l’ebreo/ colui che abita a Bruxelles… Ma per fortuna arriva in soccorso l’uomo bianco dell’est, disposto a difendere, anche con la vita, la cultura bianca”. Anche Péter Krekó, direttore del think tank Political Capital Institute di Budapest pensa che il referendum di domenica rappresenti un ulteriore colpo alla stabilità dell’Ue. “Anche se l’Europa in questo momento è impegnata su molti fronti – dice Krekó raggiunto telefonicamente dal Foglio – non dovrebbe sottovalutare questo voto” e più in generale la politica di Orbán. “Ma non dovrebbe rimproverarlo, o minacciarlo pubblicamente, quello non serve a niente, anzi sortisce l’effetto contrario”.
Come dimostra l’ultima sua sortita, cioè di espellere un milione di profughi arrivati illegalmente nell’Ue e sistemarli in un gigantesco campo di accoglienza in Libia, da dove potrebbero fare richiesta di asilo. Secondo Krekó avrebbero invece effetti concreti le pressioni fatte a porte chiuse. E un ruolo di spicco spetterebbe in questo caso al Ppe, che fino a oggi è stato troppo accondiscendente con Fidesz e il suo leader. “Eppure, quando l’anno scorso Orbán ha parlato dell’idea di reintrodurre la pena di morte e il Ppe l’ha convocato, dicendogli chiaramente che se provava a insistere su questa idea Fidesz sarebbe stato espulso dal Ppe, Orbán ha immediatamente invertito la rotta”. L’Ue dovrebbe rafforzare i suoi strumenti investigativi e di punizione, perché “ci sono due cose che Orbán teme veramente: essere espulso dal Ppe e che l’Ue possa interrompere i finanziamenti”.
L’opposizione debole e la forza del premier
La politica del premier ungherese è però sostenuta da gran parte della popolazione. Nelle elezioni parlamentari del 2010 il 52,7 per cento aveva votato Fidesz, nel 2014 il 44,87 per cento ha votato Fidesz, mettendo Orbán, in coalizione con il partito cristianodemocratico Kdnp, nella condizione di cambiare la Costituzione, imporre l’esautorazione della Corte costituzionale e agire sulla libertà di stampa. Gli ungheresi però non sembrano allarmati di questo corso e viene da chiedersi fino a dove il premier potrà spingersi prima che la popolazioni si ribelli. “Al momento questo limite non si vede. A meno che la politica non tocchi direttamente il cittadino – osserva Krekó – Quando Orbán aveva ventilato l’idea di tassare Internet, c’era stata una sollevazione di massa e il premier aveva fatto retromarcia. Ma sul piano politico nazionale bisogna prendere atto che l’opposizione è debole, il quadro legislativo è cambiato e l’Ue si dibatte in una profonda crisi. Tutto questo fornisce a Orbán la sicurezza di poter fare come gli pare e piace”. Krekó ricorda un discorso di qualche tempo fa in cui Orbán aveva detto che la democrazia “non deve essere necessariamente liberale”.
Per molti ungheresi la democrazia ha portato vantaggi a pochi e disagi e sacrifici ai più. Krekó parla del mito della “transizione scippata” che abita molti suoi concittadini. Se con la caduta del Muro si sperava in un maggior benessere per tutti, nel frattempo la convinzione generalizzata è che vi siano stati gruppi di potere internazionali che hanno arraffato quel che c’era da arraffare. “Molti pensano che ad approfittare della transizione siano state le multinazionali. Sono loro che hanno intascato enormi profitti, mentre la gente comune è rimasta al palo. I più pensano che la transizione sia stato un unico grande imbroglio e che ci voglia una nuova transizione per liberarsi di tutti i cappi internazionali”. Oggi è l’occidente la forza oscura contro la quale allearsi, per esempio rafforzando nuovamente il Gruppo Visegrad e magari assicurandosi l’appoggio, per lo meno esterno, dell’Austria.