Il paradosso dell'ateo Corbyn, più fedele alla Bibbia di Theresa May
Intervistata martedì mattina su Bbc Radio 4, Theresa May non ha esitato un attimo prima di rispondere alla domanda su cosa la facesse più arrabbiare: “L’ingiustizia, cioè quando i potenti abusano della propria posizione”. Sarebbe stato interessante chiederle da dove derivasse una risposta così istintiva; ma era l’ultima domanda e cinque minuti dopo stava parlando di collegamenti fra Londra e Birmingham su tutt’altra emittente, nel corso di una mattinata dedicata in larga parte alla stampa. Resterà pertanto senza conferma il sospetto che la sua avversione per l’ingiustizia – con definizione adamantina – possa essere sgorgata dal dettame su cui si apre il libro della Sapienza: “Scegliete la giustizia, potenti della terra”.
Theresa May (foto LaPresse)
La familiarità della May con la Bibbia è indubbia. Suo padre, Hubert Brasier, era parroco anglicano a Wheatley, a est di Oxford; la May ha sempre sottinteso un profondo radicamento familiare alle dichiarazioni con cui asseriva che “la fede cristiana è parte di me, e quindi di come affronto le cose”. Leggere la Bibbia, per i politici britannici, non è una pratica neutrale. Lo fa notare sul Guardian Giles Fraser, sacerdote anglicano, argomentando che vengono comunemente reputate inaccettabili le intemerate di Jeremy Corbyn contro la ricchezza benché nessuna sua dichiarazione sia scioccante quanto le contumelie pauperiste di Vecchio e Nuovo Testamento. Qualche esempio? Amos: “Guai a chi si sdraia su letti d’avorio”; San Paolo: “Chi vuole arricchirsi affoga nella perdizione”; San Luca: “Il ricco sta all’inferno fra i tormenti”. Senza contare, seguita Fraser, che da Westminster la Bbc aveva appena trasmesso vespri cantati i cui s’inneggiava apertamente alla rivoluzione: “Dio ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili”.
Queste frasi vengono ascoltate senza batter ciglio dallo stesso elettorato che, uscito di parrocchia, sentenzia che Corbyn è ineleggibile per l’ostilità verso i ricchi. Stando alla lettera, invece, l’ateo Corbyn andrebbe considerato più vicino alla Bibbia rispetto alla May, figlia di un sacerdote. Fraser provoca, ovviamente (“La Bibbia va presa alla lettera quando parla di omosessualità, ma quando parla di soldi è tutta una metafora”); tuttavia pone un problema esegetico-politico che oltremanica va considerato molto sul serio. Anzitutto perché siamo in area protestante, ossia in un contesto fondato sul libero esame del testo sacro come metro dell’etica pubblica e privata. In secondo luogo perché la Chiesa d’Inghilterra è storicamente nota come “il partito conservatore inginocchiato”, quindi portata a una naturale consonanza con gli attuali governanti.
Poi perché il Labour nacque su iniziativa di lavoratori metodisti a inizio Novecento, così che l’aperto ateismo di Ed Miliband fu visto con sospetto, mentre Gordon Brown vantava un padre pastore presbiteriano e Tony Blair attese fine mandato per convertirsi al cattolicesimo. Quanto a Corbyn, più che ateo furioso lo Spectator lo definisce “moderato, circospetto”; lui stesso ricorda sua madre come “lettrice agnostica della Bibbia”, assicurando “di non essere affatto antireligioso ma di trovare le religioni molto interessanti, di avere molti amici fieramente atei ma di essere molto più rilassato di loro”.
Il problema che l’argomentazione di Fraser sottintende è: una nazione in cui vige una religione di stato – una nazione in cui ventisei alti prelati siedono nella House of Lords, e in cui il primo ministro ha potuto nominare vescovi fino a dieci anni fa – deve ritenere più confacenti governatori vicini alla chiesa o atei che praticano lo spirito biblico? Nel giudicare l’azione dei politici, un elettore credente deve attenersi alla lettera della Bibbia o considerarla metaforica? Questo, ad esempio, aiuterebbe a capire meglio la scena del Lord Cancelliere Liz Truss che ha inaugurato l’anno giudiziario leggendo e commentando un passo del Deuteronomio sulla fuga degli ebrei dall’Egitto, proprio il giorno prima che il governo desse inizio alle formalità per la Brexit.