In ospedale in Venezuela si rischia di morire anche per una sbucciatura a un ginocchio
Ashley Pacheco è una bambina venezuelana di tre anni che stava rincorrendo il fratello per gioco quando è caduta e si è sbucciata un ginocchio. Cose che ai bambini capitano spesso, e che in genere si curano con un po’ di alcol o con acqua ossigenata, un cerotto e qualche carezza. È più raro, ma può capitare, che alcol e acqua ossigenata non bastino, e che per via di un po’ di terra o qualcos’altro finito nella ferita, la banale abrasione nel giro di una settimana si trasformi in infezione. Si deve allora portare il piccolo in ospedale, ma a quel punto basta un po’ di antibiotico per fermare subito il male.
Il problema, però, è che nel Venezuela di Maduro gli antibiotici non si trovano, e neanche i posti letto in ospedale. Dopo un giorno a girare per Caracas in moto con in mezzo a loro la bambina con la febbre a 39, solo al quarto ospedale sono riusciti a farla ricoverare. Ma all’Ospedale Universitario, istituto un tempo prestigioso, i pavimenti erano ormai sporchi per mancanza di detersivi, l’acqua usciva nera dai rubinetti, le pareti erano piene di scarafaggi e c’era persino qualche cane randagio a passeggiare per i corridoi. In compenso il personale medico è ancora valido e ha diagnosticato subito ad Ashley un’infezione da stafilococco, probabilmente arrivata ai polmoni. Ma l’apparato ai raggi x che avrebbe potuto accertarlo aveva smesso di funzionare da un mese. Un’ambulanza ha quindi portato la bambina in una clinica privata, dove al prezzo di una settimana di guadagni familiari i genitori si sono visti confermare il collasso del polmone destro. Ma anche in clinica l’antibiotico era quasi finito e non c’era nemmeno la macchina di drenaggio necessaria a far sopravvivere Ashley oltre le 24 ore. Sabato notte, i genitori si sono messi a cercare al telefono finché il medico di una clinica privata non ha donato loro un Pleur-vac per il drenaggio toracico. Restava però una gamba a rischio amputazione. Il padre era corso in un ospedale in cerca di vancomicina ma qui aveva trovato l’unità pediatrica inondata. Alla fine, in un altro ospedale, un uomo con un grembiule bianco tirò fuori a sorpresa tre dosi.
Superata una lista di attesa di 150 bambini per l’operazione di drenaggio del ginocchio è stato però necessario fare l’anestesia con un ago usato sterilizzato. In capo a una settimana la febbre era tornata a 39, e poi a 41, mentre la pelle si copriva di macchie rosse. Servivano tre dosi al giorno di vancomicina per sei settimane, per impedire agli stafilococchi di arrivare al cuore o al cervello. Rinunciando al suo lavoro di tassista per andare in giro a cercare il medicinale, il padre ha esaurito il denaro delle carte di credito; poi si è fatto prestare dai parenti tutto il prestabile; poi ha venduto frigorifero, televisore, cellulare, la Play Station dei figli. Dopo un altro mese, la febbre ha iniziato a calmarsi. Ma nel frattempo ad Ashley erano venute cicatrici al cuore e comunque non poteva essere dimessa fino a quando il ginocchio non fosse stato sottoposto a un esame di controllo agli ultrasuoni: primo turno disponibile, dopo due mesi. E’ saltato fuori che per l’infezione la piccola era affetta da un fungo ai polmoni, curabile solo con una medicina che secondo i medici in Venezuela era introvabile. Impossibile farla venire dall’estero per ostacoli burocratici all’import, alla fine la medicina è saltata fuori gratis da una vicina di casa, cui era rimasta una scorta dopo che il figlio era morto di infezione polmonare. Rivendendo ciò che non era servito ad Ashley alle famiglie di altri pazienti la madre ha trovato i soldi per fare anche gli ultrasuoni.
E così un’Odissea sanitaria nel paese di Maduro si è, per ora, conclusa.