Perché il premio Nobel per la Pace è stato assegnato al presidente colombiano Santos
Dopo la vittoria del “no” al referendum sull’accordo tra il governo di Bogotà e i combattenti delle Farc si pensava che il comitato di Oslo avrebbe preso in considerazione qualcun altro. Ma dietro la decisione ci sono altre valutazioni politiche.
“Per il suoi sforzi risoluti nel portare la fine di una guerra civile nel suo paese che dura da oltre 50 anni”. Così il Comitato di Oslo ha motivato la decisione di consegnare al presidente colombiano, Juan Manuel Santos Calderon, il Premio Nobel per la Pace, anche dopo la cocente delusione del no con cui il popolo colombiano a bocciato per referendum i termini della Pace di Cartagena con le Farc. Ma, spiegano i promotori, l’esito del voto “non va inteso come un no alla pace. Il no popolare è stato pronunciato contro una specifica formulazione dell'accordo, e sottolineiamo l'importanza che Santos guidi ora un più ampio dialogo, per una nuova stretta di mano che trovi basi ampie e quindi maggiore sostegno. Esortiamo tutte le parti, tutti i partiti, a dare il loro contributo”.
Prima del referendum veniva dato per scontato che il Premio sarebbe stato dato a lui e al leader delle Farc “Timochenko”, secondo una tradizione che aveva già insignito i firmatari degli accordi di pace sul Vietnam, tra Israele e Egitto, tra Israele e Olp, in Irlanda del Nord. Ma dopo il referendum, era sembrato altrettanto scontato che a Oslo dovessero trovare qualche altro destinatario del prestigioso riconoscimento. Adesso, la motivazione sembra quasi accreditare la battuta per cui il Nobel, Santos se lo sarebbe riguadagnato per la clamorosa distensione con il leader del “no”, Álvaro Uribe Vélez, l’ex-presidente di cui era stato ministro della Difesa e delfino, e che proprio sul negoziato con i guerriglieri aveva rotto con Santos ogni rapporto non solo politico, uscendo dal partito che avevano fondato assieme per crearne uno nuovo.
Adesso invece i due ex amici ed ex nemici si sono stretti la mano, e hanno deciso di nominare una Commissione con tre rappresentanti per parte per modificare i termini della Pace di Cartagena in modo che possano essere accettabili per tutti.
Non potendo premiare un obiettivo non ancora raggiunto, dunque, a Oslo hanno evidentemente deciso di dare un impulso al nuovo obiettivo da raggiungere, in contemporanea con le manifestazioni dei sostenitori del “sì” in corso in Colombia. È una importante apertura di credito a una capacità di reinventarsi in continuazione che comunque nel corso della sua lunga vita politica il 65enne Santos ha più volte dimostrato.
Appartenente alla potente famiglia proprietaria del quotidiano “El Tiempo” e laureato ad Harvard, Juan Manuel Santos è essenzialmente un economista. E da uomo-immagine dell’apertura economica fu ancor prima un importante ministro del Commercio Estero tra 19991 e 1994, con il presidente Gaviria: chi scrive ricorda una intervista che gli fece all’epoca, e in cui Santos delineò abbastanza lucidamente quel tipo di scenario di integrazione che poi da presidente avrebbe effettivamente portato avanti con l’Alleanza del Pacifico. E poi fu di nuovo ministro delle Finanze tra il 2000 e il 2002, con Pastrana. Proprio in quella veste, quando il negoziato intrapreso dallo stesso Pastrana collassò per l’inaffidabilità delle Farc, Santos propose di istituire una “tassa di guerra” allo scopo di sconfiggere la guerriglia sul piano militare.
Uribe, oppositore di quel negoziato, criticò il merito della proposta, affermando che già i colombiani pagavano troppe tasse. Quando però fu eletto presidente proprio sull’onda dell’indignazione popolare conto le Farc, volle proprio Santos alla Difesa, e così l’economista tra il 2006 e il 2009 fu il protagonista delle clamorose vittorie con cui le forze armate colombiane umiliarono i ribelli: prima fra tutte, la liberazione di Íngrid Betancourt. Divenne lui l’ovvio successore di Uribe, dopo che si esaurirono i due mandati concessi dalla Costituzione. Ma a quel punto l’economista diventato falco si ritrasformò in colomba, iniziando quella trattativa che lo ha portato a questo premio.
Rispetto allo scenario antecedente il referendum, però, non è stato premiato “Timochenko”. “Perché no?”, hanno chiesto i giornalisti alla conferenza stampa che ha annunciato il premio. “Non commentiamo su chi non ottiene il premio”, è stato risposto. Il fatto è che anche le Farc stanno ora discutendo su quali punti potrebbero ora accettare rispetto al testo concordato, pur di arrivare alla pace. E “Timochenko” si starebbe mostrando poco duttile, rispetto ad altri dirigenti che ammettono la necessità di fare concessioni. Insomma, a Oslo hanno forse deciso che era il caso di metterlo sotto pressione.