I piani autocratici di Xi per la Cina
Roma. Il presidente cinese, Xi Jinping, dovrebbe dare inizio in questi mesi al complicato processo di selezione del suo successore alla guida del Partito comunista e della Cina. Un nuovo presidente non sarà nominato dall’alta burocrazia comunista fino al 2022, ma le procedure di successione iniziano anni prima e sono trattate con eccezionale segretezza all’interno dei palazzi del potere, mentre fuori gli esperti avanzano speculazioni e cabale. A questa successione, tuttavia, le cabale saranno ancora più fitte e impenetrabili, perché Xi sarebbe pronto a contravvenire alle regole stabilite e mettere in pericolo il delicato equilibrio che regge in piedi il Partito. Nella storia della Cina comunista, e in generale in tutti i regimi monopartitici, dall’Unione sovietica al Messico dei tempi della dittatura, il passaggio di consegne da un leader a un altro è sempre un momento estremamente sensibile, in cui tutto il sistema è in tensione.
La Cina non è una dittatura in cui l’autocrate sceglie autonomamente il suo delfino, ma un sistema estremamente complesso in cui il presidente e segretario generale del Partito comunista agisce da primus inter pares ed esercita l’arte del compromesso in concordanza perfetta con l’autorità bruta. Scegliere un successore significa mettere in moto meccanismi complicati e applicare leggi informali che sono state ideate con il tempo e sulla scorta di molti errori per custodire la stabilità. Per questo, i candidati alla successione sono di solito designati con anni di anticipo, testati e messi alla prova. Con il plenum annuale del Comitato centrale del Partito comunista previsto per la fine di questo mese, siamo ormai in vista del periodo in cui i candidati più forti dovrebbero iniziare a essere scelti, in vista del grande Congresso dell’anno prossimo, in cui saranno introdotti nelle alte sfere di comando del Partito.
Ma rumors insistenti che sono affiorati anche sui media occidentali di recente sostengono che Xi non abbia intenzione, almeno per ora, di designare il suo delfino. Secondo alcuni, i candidati alla successione sono ancora troppo immaturi, e serve più tempo per testare le loro capacità. Secondo altri, Xi, il più potente leader cinese dai tempi di Mao, sta cercando un modo per estendere il proprio mandato e avvicinarsi a una gestione autocratica del potere. La Costituzione cinese gli impedisce di fare più di due mandati da presidente (inizierà il secondo l’anno prossimo, dopo il Congresso, fino al 2022), ma solo una regola informale gli vieta di rimanere più a lungo segretario generale del Partito, la carica che detiene il vero potere decisionale in Cina.
Che Xi abbia deciso di piegare in maniera creativa il rito della successione lo dimostrerebbe anche il fatto che secondo la maggioranza degli esperti intende contravvenire a un’altra regola informale, quella del limite massimo di età di 68 anni per gli alti funzionari. La regola fu imposta dall’allora presidente Jiang Zemin per far fuori un suo rivale più anziano, ma nel frattempo è diventata simbolo dell’istituzionalizzazione dei processi di ricambio generazionale all’interno del Partito. Il problema per Xi è che i suoi più importanti collaboratori e partner, compreso il potentissimo Wang Qishan, braccio destro del presidente e zar della guerra anticorruzione, saranno tutti troppo anziani per iniziare un nuovo mandato l’anno prossimo, al momento dell’azzeramento delle cariche. Per questo, Xi sta pensando di fare almeno un’eccezione. E di elevarsi da quel ruolo di primus inter pares che apparentemente inizia a stargli stretto.
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