Unesco in stile Isis, ora mutila Israele
Sulle rovine di Palmira distrutte dall’Isis, l’Unesco e la cultura (anche italiana) si sono scandalizzati e mobilitati. Due giorni fa, un simile furore negazionista si è abbattuto sulla città santa di Gerusalemme, ma stavolta non soltanto l’Unesco ha favorito il vandalismo, ma gran parte delle democrazie occidentali sono rimaste a guardare (Italia compresa). L’Unesco ha approvato una mozione in cui cancella de facto la storia millenaria della Gerusalemme ebraica. Si nega ogni rapporto fra l’ebraismo e il Monte del Tempio e il Muro del Pianto, il primo luogo santo degli ebrei, da oggi non va più chiamato con l’ebraico “Kotel”, ma con l’arabo “al Burak”. Ieri Irina Bokova, direttore generale dell’Unesco, è corsa ai ripari dicendo che “l’eredità di Gerusalemme è indivisibile, e ciascuna delle sue comunità ha diritto al riconoscimento esplicito della sua storia e del rapporto con la città”.
Irina Bokova, direttore generale dell’Unesco (foto LaPresse)
Ammenda tardiva: per l’Unesco, a Gerusalemme, la storia degli ebrei diventa il mito di colonizzatori destinati a essere spazzati via. Il governo israeliano ha interrotto i rapporti con l’Agenzia. “Qual è il prossimo passo dell’Unesco, negare il legame fra Batmam e Robin?”, ha chiesto il premier Benjamin Netanyahu. Soltanto sei paesi hanno votato contro: Stati Uniti, Gran Bretagna, Lituania, Olanda, Germania ed Estonia. I paesi arabo-islamici dominano ormai il board dell’Unesco: la mozione contro Israele è stata depositata dal regime islamico del Sudan, il cui presidente Bashir è ricercato all’Aia. Da anni l’Unesco collabora con l’Isesco, l’agenzia dell’Organizzazione della conferenza islamica propugnatrice di un suprematismo musulmano. Non solo l’Unesco ha intascato venti milioni di dollari dall’Arabia Saudita, ma il re Abdullah è stato insignito della medaglia Unesco per “la cultura del dialogo e della pace”.
Il Qatar di recente ha donato dieci milioni all’Unesco e non è un mistero che il suo ministro della Cultura, Hamad bin Abdulaziz al Kuwari, sia favorito per diventare segretario dell’Unesco (il Qatar ha avuto un ruolo decisivo nella mozione antisraeliana). Alcuni giorni fa, al Kuwari era a Roma a sponsorizzare la propria nomina e ha raccolto una onorificenza all’Università Tor Vergata. La guerra dell’Unesco contro Israele è iniziata nel 1974, quando l’Agenzia votò per la cacciata d’Israele da quella esperanto culturale diretta da Amadhou M’Bow, estimatore dello statalismo sovietico più della democrazia liberale e che trasformò l’Unesco da costosa “fabbrica di carta” a tribuna per le crociate ideologiche del Terzo mondo e dei paesi dell’est. L’Amministrazione Reagan uscì dall’Unesco, dicendo che “in politica il criterio del porgere l’altra guancia significherebbe resa o, peggio, tradimento”. Allora, le migliori intelligenze della cultura firmarono l’appello “Non lavoreremo per l’Unesco”: “Israele non ha il diritto di esistere, dunque non esiste. L’annullamento spirituale giustifica in anticipo l’annientamento fisico: è un processo di sterminio messo a fuoco dai totalitarismi del XX secolo”.
Firmarono Argan, Jemolo, Silone, Biagi, Dorfles, Foà, Gassman, Primo Levi, Montale, Montanelli, Sciascia, Soldati e Strehler. Persino il Papa, Paolo VI, fece pressioni sull’Unesco, e all’estero, dal filosofo Raymond Aron a scrittori come Dürrenmatt, Ionesco e Graham Greene, ad artisti come Joan Miró e Leonard Bernstein, abbracciarono il “caso Israele”. Il Nobel per la Medicina André Lwoff disse che “la maggior parte degli stati che compongono la maggioranza all’Onu sono paesi per i quali la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo è lettera morta”. Quarant’anni dopo, la situazione è la stessa all’Onu, il negazionismo storico ha preso piede anche nei giornali occidentali, mentre si sente la mancanza di appelli contro questo attacco al patrimonio mondiale dell’umanità. Perché se gli ebrei non hanno legami con Gerusalemme, anche la storia cristiana è un’impostura secondo gli uomini dell’Isis in doppio petto che siedono nel palazzo dell’Unesco in cemento e vetro di Place de Fontenoy a Parigi.