Così la campagna elettorale americana crea scompiglio nella Silicon Valley
Roma. Sam Altman è un’eminenza grigia nel mondo tecnologico della Silicon Valley. Da circa due anni, Altman è presidente di Y Combinator, il più importante incubatore di startup del mondo e la migliore scuola per imprenditori di successo mai esistita, i cui accoliti hanno creato compagnie dal valore complessivo di oltre 80 miliardi di dollari. Fondato da uno dei padrini del mondo del tech, Paul Graham, Y Combinator ha consentito l’esplosione sul mercato di Airbnb, Dropbox, Reddit, Instacart e molte altre startup trasformatesi in unicorni (il termine gergale con cui si indicano le startup che hanno raggiunto una valutazione di un miliardo di dollari).
Sam Altman (immagine di Youtube)
Anche i grandi baroni della tecnologia, da Mark Zuckerberg di Facebook a Marissa Mayer di Yahoo, rendono frequentemente omaggio a Y Combinator e si offrono per lezioni e consigli. Un ritratto monstre pubblicato questo mese sul New Yorker avrebbe dovuto mettere il sigillo alla fama di Altman anche fuori dalle conventicole della comunità delle startup, ma l’attenzione della grande stampa è stata distolta quasi subito. Da qualche giorno, Y Combinator e Altman sono stati investiti dalla campagna elettorale americana, dopo mesi in cui tutta la Silicon Valley aveva cercato disperatamente di tenersi al riparo dal ciclone dello scontro tra Hillary Clinton e Donald Trump.
Tra i principali finanziatori di Y Combinator, infatti, c’è Peter Thiel, che oltre a essere un amico strettissimo di Altman (il capo di Y Combinator ha la fobia che una pandemia incontrollata distruggerà l’umanità, e nell’eventualità progetta di rifugiarsi nella casa di Thiel in Nuova Zelanda per sfuggire al contagio, ha raccontato il New Yorker) è uno dei personaggi più controversi della Silicon Valley. Fondatore, imprenditore e finanziatore, libertario, omosessuale e contrarian, Thiel è da sempre poco amato nella Valley, ma è diventato odiato dai più quando ha annunciato il suo appassionato sostegno a Donald Trump. Thiel ha tenuto un discorso alla convention repubblicana di Cleveland, e pochi giorni fa – proprio mentre Trump si andava trasformando in un paria nell’establishment politico e culturale americano a causa della registrazione sul suo rapporto con le donne e alle molte denunce di violenze spuntate contestualmente – ha annunciato che finanzierà la campagna del candidato con 1,25 milioni di dollari.
Peter Thiel (immagine Youtube)
Il mondo della tecnologia è insorto – e una delle campagne elettorali più tossiche della storia americana è entrata infine nei corridoi delle compagnie della Valley. Alcuni dei più importanti personaggi del tech hanno iniziato a chiedere a gran voce ad Altman e Y Combinator di tagliare tutti i rapporti con Thiel, e si sono inferociti ancora di più quando Altman (che ha dato pubblicamente il suo sostegno a Hillary Clinton) ha risposto che non aveva senso censurare qualcuno solo perché sostiene il candidato di uno dei due grandi partiti americani. L’oltraggio pubblico si è rivolto anche a Facebook, visto che Thiel siede nel consiglio di amministrazione della società.
Così, dopo lunghi mesi passati in gran parte al riparo dalle polemiche, nella comunità tecnologica americana si sono aperte le stesse divisioni politiche che già esistono nel resto della società. La Silicon Valley, è facile immaginarlo, è quasi tutta dalla parte di Clinton, e molti ceo e dirigenti hanno fatto donazioni anche milionarie alla campagna democratica. Sheryl Sandberg, potentissimo direttore operativo di Facebook, è stata additata come candidata alla segreteria del Tesoro in un’eventuale Amministrazione Clinton. Ma esiste una minuscola e vociante comunità pro Trump, di cui Thiel è il portabandiera e che sta portando scompiglio nella Silicon Valley. L’aristocrazia tech cerca da tempo di presentarsi come parte di un principato al di sopra delle mestizie del governo – “stiamo salvando il mondo, noi” –, ma alla fine non può evitare di essere ricacciata nell’arena politica.