La cancelliera tedesca Angela Merkel, il premier belga Charles Michel e il premier italiano Matteo Renzi (foto LaPresse)

Sanzioni alla Russia, Migration Compact e libero commercio. L'Ue arriva divisa al vertice di giovedì

David Carretta
Per la prima volta dopo la Brexit i Ventotto tornano ad affrontare le questioni calde dentro l’Unione. L’urgenza è salvare l’accordo commerciale con il Canada
Bruxelles. Una piccola regione socialista in rivolta contro il trattato commerciale più progressista che l'Unione europea abbia mai firmato, un gruppo di paesi che rifiuta la solidarietà sull'immigrazione nel Mediterraneo e un fronte filo russo che priva la diplomazia europea dell'unico strumento efficace del soft power per contenere la Russia: i capi di stato e di governo dei Ventotto mettono alla prova la loro credibilità internazionale nel vertice che si apre domani a Bruxelles. Dopo la Brexit, con il vertice di Bratislava di metà settembre, i leader dell'Ue avevano cercato di evitare le grandi questioni che dividono per mostrare ai loro cittadini e al resto del mondo una finzione di unità. Ma le crisi interne ed esterne hanno costretto il presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk, a inserire tre questioni calde nel summit autunnale dell'Ue: immigrazione, Russia e politica commerciale. E, malgrado la Brexit, sui tre temi i leader non sembrano pronti a trovare un punto di incontro che permetta all'Ue di avere una chiara strategia.
 

L'urgenza per il vertice è salvare il Ceta, l'accordo commerciale concluso tra Unione europea e Canada, che dovrebbe essere solennemente firmato a fine ottobre in un summit con il primo ministro star dei liberal-progressisti, Justin Trudeau. Il Ceta rappresenta il massimo mai realizzato dall'Ue in termini di tutela degli standard sociali, ambientali e sanitari – ma anche di indicazioni geografiche – e innova con la creazione di un tribunale speciale per sostituire gli arbitrati in caso di dispute tra investitori privati e stati. Ma per la piccola Vallonia non basta. Guidata dai socialisti francofoni, la regione belga ha deciso di non autorizzare il governo centrale a firmare l'accordo. Le colpe sono molte e condivise. I nazionalisti fiamminghi, che sono al governo a Bruxelles e a favore del Ceta, subiscono il ricatto dei socialisti francofoni, dopo aver preteso di regionalizzare la politica commerciale. La Commissione, che ha accettato una forzatura giuridica decidendo per ragioni politiche di definire come “misto” l'accordo con il Canada, ha aperto le porte alle ratifiche nazionali e regionali. La posta in gioco è enorme: far fallire il Ceta significherebbe mettere a morte la politica commerciale dell'Ue. Come ha detto Trudeau, “se l'Europa è incapace di firmare un'intesa commerciale progressista con un paese come il Canada, con chi l'Europa pensa di fare affari nei prossimi anni?”.

 

La Vallonia almeno è riuscita a fare l'unanimità dei 28, che stanno mettendo pressione sul governo regionale socialista per trovare un compromesso entro venerdì. E' sul resto della politica commerciale che gli stati membri sono divisi. Il Ttip – l'accordo commerciale con gli Usa – è di fatto congelato. Il vertice discuterà della modernizzazione degli strumenti di difesa commerciale, con una decina di paesi contrari a dare più forza alla Commissione per imporre dazi anti-dumping a quelli che Tusk ha definito gli “hooligans del commercio”. Se non ci sarà accordo su questo, l'altra metà dell'Ue non è pronta a concedere lo status di economia di mercato alla Cina, con il rischio di aprire un conflitto maggiore con Pechino. “E' necessario rinnovare il consenso europeo sulla politica commerciale”, dice al Foglio un diplomatico europeo. “Un posto di lavoro su sette in Europa dipende dal commercio extra Ue”. Ma il consenso sembra impossibile da raggiungere perché “c'è troppa ideologia”.

 

L'altro tema caldo è la Russia, e non solo per i bombardamenti che radono al suolo Aleppo est. “Il contesto siriano sarà inevitabile, ma anche quello ucraino sarà presente”, spiega il diplomatico. La lista dei contenziosi è lunga: cyber-attacchi, campagne di disinformazione, missili con capacità nucleari a Kalinigrad, incursioni nello spazio aereo degli stati membri. Alcune capitali hanno sollevato la questione del “finanziamento da parte della Russia di partiti politici o organizzazioni non governative” anti Ue. La discussione sulla Russia era stata chiesta da Matteo Renzi per preparare la ritirata dalle sanzioni sull'Ucraina. E invece Angela Merkel, François Hollande e i leader dell'est vogliono approfittarne per iniziare a discutere di sanzioni contro Mosca sulla Siria.

 

“Non ci saranno decisioni”, dice il diplomatico, ma “le conclusioni sulla Siria non escluderanno l'opzione di misure restrittive contro la Russia in futuro”. Tusk, convinto che Putin capisca solo il linguaggio della forza, ritiene che la credibilità della politica estera dell'Ue e la sua capacità di deterrenza nei confronti della Russia siano in gioco. Ma teme un'imboscata del fronte pro russo – Italia, Grecia, Cipro, Slovacchia e Ungheria – ostile ad altre sanzioni.

 

Sull'immigrazione, invece, “non è un altro summit di crisi”, spiega il diplomatico europeo. Grazie all'accordo con la Turchia e la chiusura delle frontiere, “stiamo lentamente svoltando l'angolo”, ha spiegato Tusk nella sua lettera di invito ai leader: lo dicono i numeri, con un crollo del 98 per cento di migranti sulla rotta dei Balcani. L'attenzione sarà incentrata sul Mediterraneo centrale e sul Migration Compact proposto dall'Italia, in particolare gli accordi di rimpatrio e riammissione con i paesi dell'Africa. La questione è apparentemente consensuale. Nessuno dei 28 è contrario a cercare di replicare con i paesi di origine e transito in Africa e in Asia quanto fatto con la Turchia. Tuttavia, tra Tusk e l'Alto rappresentante Federica Mogherini, incaricata di portare avanti il Migration Compact, esiste una divergenza di fondo. Secondo il presidente del Consiglio europeo, il successo si misurerà sulla base del “numero di rimpatri” di migranti economici, dice il diplomatico. Per Mogherini, le priorità sono multiple: salvare vite umane, smantellare le reti di trafficanti, aprire opportunità di immigrazione regolare e accelerare il ritmo dei rimpatri.

 

L'ottimismo di Tusk su un vertice consensuale sull'immigrazione rischia di andare a sbattere contro le divisioni dei 28 su come gestire la crisi interna. Anche se relocation, Dublino e Schengen non sono nell'agenda ufficiale, Matteo Renzi non mancherà di ricordare le promesse dell'Ue mai rispettate per gli egoismi di alcuni stati membri. La Grecia teme di vedersi mandare indietro decine di migliaia di migranti arrivati nel nord Europa lo scorso anno. I paesi dell'est pretendono flessibilità sulla solidarietà. Risultato: ancora una volta i 28 rinvieranno tutto, con ogni probabilità al Consiglio europeo di dicembre.