Dalla Grecia la Portogallo, austerità sinistra
Roma. Solo un anno fa sembrava che il Portogallo avesse deciso di abbandonare l’austerity, superare i vincoli di bilancio e abbattere i paletti di Bruxelles. Nonostante fosse arrivato alle elezioni dietro al premier conservatore uscente Pedro Passos Coelho, il socialista António Costa era riuscito faticosamente a formare un governo di minoranza con l’appoggio di due blocchi di estrema sinistra proprio per “voltare pagina con l’austerità”: riduzione degli orari di lavoro, aumento di salari e pensioni, cancellazione dei tagli alla spesa pubblica, rilancio degli investimenti pubblici e manovre espansive. Per un po’ il governo socialista ha deviato dal percorso tracciato da Bruxelles, ma dopo che la Commissione ha aperto una procedura per disavanzo eccessivo e i mercati sono entrati in fibrillazione, il Portogallo è tornato sui binari della disciplina fiscale. Insomma, con la legge di Bilancio per il 2017, il governo social-comunista di Costa ha voltato di nuovo pagina per tornare a leggere il libro dell’austerity: il piano prevede un deficit all’1,6 per cento del pil per il 2017, quasi un punto in meno del 2,4 per cento previsto per quest’anno e in forte calo rispetto al 4,4 per cento del 2015. Anche il debito pubblico che sfiora il 130 per cento del pil è dato in discesa di un punto. Prosegue il percorso di aggiustamento fiscale impostato dalla Troika con il piano di assistenza da 80 miliardi, chiuso nel 2014 con il governo di centrodestra: Lisbona si tiene sotto il tetto del 3 per cento di deficit e si avvia verso il pareggio di bilancio. E’ lo stesso film visto ad Atene dove anche Alexis Tsipras, dopo aver promesso di voltare pagina, sta ripetendo la lezione dell’austerity da studente modello.
Costa e Tsipras non hanno “tradito” gli elettori, hanno cercato in tutti i modi di attuare i propri programmi, ma semplicemente si sono scontrati con i vincoli della realtà. Il premier greco, prima di sottoscrivere un nuovo memorandum in cui ha accettato di andare avanti con la revisione della spesa, la riforma delle pensioni, le privatizzazioni e le liberalizzazioni, ha chiesto i danni di guerra alla Germania, ha portato il popolo in piazza, ha cercato appoggi in Russia e Cina, ha celebrato in fretta e furia un referendum minacciando di lanciarsi nel vuoto, fuori dall’euro. Dopo aver bruciato la piccola ripresa del pil, bloccato i conti correnti e fatto scappare i capitali, Tsipras ha capito che non c’erano alternative al piano di disciplina fiscale e riforme strutturali, che le schede elettorali non servono se non hai soldi e neppure qualcuno che te li presti. Anche in Portogallo Costa aveva iniziato il suo mandato con alcuni provvedimenti antiausterity, che però hanno allarmato la Commissione, il Fondo monetario internazionale e soprattutto i mercati, preoccupati per le sorti di un paese con una crescita bassa, un settore bancario fragile, un sistema politico instabile e un debito elevato (ricorda qualche altro paese?). Di fronte al pressing europeo e soprattutto alla concreta possibilità di un taglio del rating che escluderebbe Lisbona dal programma di acquisto di bond della Banca centrale europea e porterebbe il paese a un nuovo bailout, il governo portoghese ha cercato di rassicurare i mercati e gli investitori con una legge di Stabilità austera. Tra i provvedimenti presentati da Costa non mancano misure di redistribuzione a favore di pensionati e redditi bassi, ma sempre in un quadro di rigore fiscale, cioè coperte da aumenti di tasse e non da deficit.
I casi di Grecia e Portogallo indicano il paradosso della sinistra europea. I tradizionali partiti socialdemocratici sono in grande difficoltà di fronte alle necessità di fare riforme strutturali e avere conti in ordine, la Spd in Germania è ancillare alla Merkel, il Ps in Francia è ai minimi storici, il Pd è in netto calo rispetto alle europee di due anni fa. Dall’altro lato i partiti di sinistra estrema, nati dalle proteste contro le politiche “neoliberiste”, come Syriza in Grecia, Podemos in Spagna e la sinistra portoghese, sono costretti ad attuare politiche di austerità una volta al governo. E’ la resa della sinistra cresciuta con lo slogan “un altro mondo è possibile” al realismo thatcheriano che diceva “There is no alternative” (“Non c’è alternativa”). In realtà la Thatcher esagerava, le alternative esistono, solo che sono tutte peggiori. E ora se ne sono accorti anche i compagni Costa e Tsipras.