Dietro il disastro Ceta lo stallo dei socialisti
Bruxelles. Un piccolo partito socialista, che alle ultime elezioni nazionali aveva raccolto 787 mila voti, è riuscito a bloccare la firma del più avanzato accordo commerciale che l’Unione europea abbia mai firmato nella sua storia. Il Belgio “non è nelle condizioni di firmare il Ceta”, l’accordo commerciale con il Canada, ha annunciato ieri il premier belga, il liberale Charles Michel, dopo una settimana di negoziati con il governo della regione Vallonia guidata dal socialista Paul Magnette. Lo schizofrenico sistema istituzionale belga, dove la competenza sulla politica commerciale è affidata alle regioni per volontà della comunità fiamminga, ha permesso ai socialisti francofoni di vendicarsi di Michel che li aveva cacciati dal governo nel 2014, dopo 26 anni di presenza in grandi coalizioni. A nulla sono valsi gli sforzi del presidente della Commissione, Jean-Claude Juncker, o della molto liberal ministra del Commercio canadese, Chrystia Freeland. Il vallone Magnette – dietro il quale opera come un burattinaio l’ex premier socialista Elio Di Rupo non si è fatto convincere nemmeno da alcuni compagni socialisti, come il presidente francese François Hollande (che lo ha ricevuto all’Eliseo il 14 ottobre) o quello dell’Europarlamento Martin Schulz (che ha tentato un’ultima mediazione il 22 ottobre). Il vertice Ue-Canada non è stato annullato: la Commissione europea spera ancora in una firma dell’accordo, se non questa settimana, entro la fine dell’anno. Al di là del colpo alla credibilità dell’Ue come attore commerciale globale, il “no” della Vallonia contro il Ceta dimostra quanto l’establishment socialista europeo, a forza di gridare contro il “turbocapitalismo” e il libero mercato per rincorrere i populisti di sinistra e destra, abbia perso il controllo delle sue truppe e di se stesso.
La Commissione ha chiesto “pazienza” al Canada nella speranza di convincere la Vallonia a firmare nei prossimi mesi. Dopo aver parlato con il premier canadese, Justin Trudeau, il presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk, ha annunciato che “c’è ancora tempo”. Il vertice del 27 con Trudeau forse si farà. Ma gran parte del danno per la credibilità dell’Europa è stato fatto: come ha detto Freeland, l’Ue ha dimostrato di essere “incapace di raggiungere un accordo, perfino con un paese con valori europei come il Canada”. La Commissione di Jean-Claude Juncker ha molte responsabilità: è stata sua la decisione “politica” di definire il Ceta un accordo “misto” (che prevede il via libera di parlamenti nazionali e regionali) invece che “EU only” (per cui bastano governi nazionali ed Europarlamento). Inutili gli appelli di Carlo Calenda, così come il parere dei servizi giuridici della Commissione che definiva il Ceta un accordo puramente commerciale: su pressione del socialdemocratico tedesco Sigmar Gabriel e del socialista francese Matthias Fekl, l’esecutivo Juncker ha ceduto alle ragioni di politica interna nazionale.
Con rare eccezioni, come il Pd italiano, la rivolta contro il Ceta e il suo gemello Ttip (l’accordo con gli Usa che l’Ue sta faticosamente negoziando) è stata cavalcata dai partiti del socialismo europeo. Nordamericani pronti a invadere l’Europa con bistecche agli ormoni, clausole Isds che mettono gli Stati europei alla mercé delle multinazionali, liberismo selvaggio sotto le spoglie di un accordo transatlantico: la retorica socialista è ricca di falsità e luoghi comuni che ricalcano le grida populiste. I socialdemocratici tedeschi dell’Spd hanno battagliato contro le clausole che prevedono arbitrati per risolvere le dispute tra investitori privati e stati. I loro cugini austriaci della Spö, con il nuovo cancelliere Christian Kern, hanno minacciato fino all’ultimo di bloccare il Ceta. Ancora la scorsa settimana, alcuni socialisti di governo denunciavano “il dogma neoliberale” (Matthias Fekl, segretario di stato al Commercio di François Hollande in un’intervista all’Obs) e “il turbocapitalismo” (Gianni Pittella, presidente del gruppo dei Socialisti & Democratici, in un discorso per lanciare la riflessione sul futuro delle forze progressiste). Sono le stesse espressioni utilizzate in Francia dalla leader del Front national, Marine Le Pen, o dal suo alter ego di estrema sinistra, Jean-Luc Melenchon. Ora Pittella lamenta che “se una piccola comunità è in grado di tenere 500 milioni di cittadini europei in ostaggio (…), l’Ue rischia di essere condannata all’irrilevanza”. Ma è tardi: il compagno Magnette ormai è l’eroe di estrema sinistra e di estrema destra. “Siamo riconoscenti nei confronti dei valloni”, ha detto Melenchon. Con le sue pressioni per far cambiare idea alla Vallonia, “l’Ue mostra il suo volto più totalitario”, ha detto Le Pen.