Generazione jihad
Moschee salafite, scuole coraniche, luoghi di reclutamento di aspiranti martiri. Mappe e statistiche per raccontare la guerra della Francia all’islam radicale
Parigi. Lo scorso 11 settembre, ai microfoni di Europe 1, il primo ministro francese, Manuel Valls, ha detto che sono 15.000 i cittadini francesi in un “processo di radicalizzazione” monitorati dai servizi segreti di Parigi, 700 i jihadisti con il passaporto francese che combattono attualmente in Siria e in Iraq con l’esercito del Califfato, e 900 gli individui che hanno manifestato “velleità di partenza” verso la Siria. Questi numeri, allarmanti e quotidianamente corretti al rialzo, confermano la Francia al primo posto in Europa per numero di foreign fighter esportati, davanti al Belgio che ha fornito alle milizie jihadiste un contingente di 500 radicalizzati. Il premier Valls, che ha inaugurato a fine agosto il primo centro di deradicalizzazione di Francia, a Beaumont-en-Veron, nella Loira, ha specificato che tra i 700 combattenti francesi dell’Isis vi sono 275 donne e decine di minorenni (almeno 80), prima di aggiungere che 196 jihadisti francesi sono morti nelle terre del Califfato. In Francia, sempre secondo quanto dichiarato da Valls, sono 1.350 gli individui radicalizzati sotto inchiesta, tra i quali 293 in contatto diretto con le filiere terroristiche, e l’intelligence, la polizia e la gendarmeria sventano attentati, smantellano filiere e braccano terroristi “tutti i giorni”.
Il ministro dell’Interno, Bernard Cazeneuve di recente ha aggiunto che dall’inizio del 2016 sono state arrestate “più di 300 persone” legate alle filiere jihadiste. Il Jounal du Dimanche, all’inizio del mese, citando le cifre del Fichier des signalements pour la prévention de la radicalisation à caractère terroriste (Fsprt), database creato nel marzo 2015 tramite un decreto confidenziale che enumera gli islamisti radicali segnalati e monitorati in Francia, ha confermato le cifre di Valls, precisando che 4.000 su 15.000 sono pronti a passare all’attacco. Sempre secondo i dati del Fsprt, gestito direttamente dal ministero dell’Interno, il 18 per cento della totalità dei radicalizzati ha meno di diciotto anni – la maggior parte sono di sesso femminile – e il più giovane sorvegliato dai servizi per radicalizzazione ha appena 11 anni. Il Fsprt alza a 200 il numero di jihadisti francesi morti in Siria e in Iraq, parla di 203 ritorni e di più di 2.000 cittadini con passaporto francese o residenti in Francia implicati nelle filiere jihadiste. La grande novità dell’ultimo anno, che ha visto tutte le cifre del jihad raddoppiare a partire dal numero di partenze e di segnalazioni di radicalizzazione in Francia, è l’aumento del numero di donne che si arruolano nell’esercito califfale. Al punto che queste, ora, rappresentano più di un terzo dell’intero contingente francese. Un altro dato importante, che sbugiarda chi continua a sostenere che il terrorismo islamico è figlio della povertà, dell’emarginazione e della vita grama delle banlieue, è l’estrazione sociale degli aspiranti martiri.
Un paper sulla radicalizzazione in Francia curato lo scorso novembre dall’Uclat (Unité de coordination de la lutte antiterroriste), organo dipendente dal ministero dell’Interno che assicura la coordinazione tra i servizi che lottano contro il terrorismo, ha evidenziato che il 67 per cento dei jihadisti francesi proviene dalla classe media, mentre i foreign fighter nati e cresciuti nei sobborghi popolari rappresentano il 16 per cento, quasi alla pari dei miliziani figli delle categorie socioprofessionali superiori. Nello stesso paper viene evidenziato che gli aspiranti martiri provengono da ogni ogni universo urbano, centro storico e periferie, metropoli e campagne, e come non sia più possibile disegnare i contorni del candidato francese medio al jihad. La nuova “génération djihad” è più eterogenea, con più donne, più convertiti all’islam, e non solo con persone di origine maghrebina come negli anni Ottanta e Novanta. Libération e la scuola di giornalismo di Sciences Po, a marzo, hanno riunito in un database le informazioni concernenti 68 dei jihadisti francesi morti in Siria, e sono giunti alle stesse conclusioni: adolescenti e padri di famiglia, parigini e provinciali, giovani senza diploma e lavoratori, figli della banlieue e figli della buona borghesia, la sociologia del jihad in Francia è caratterizzata da una pronunciata diversità di profili.
Per tornare alla carta della radicalizzazione dell’Uclat, che fa riferimento alle segnalazioni tra aprile 2014 (mese di attivazione della piattaforma anti jihad da parte del governo e del numero verde per segnalare i sospetti) e maggio 2015, sono ben 1.672 i convertiti sui 4.091 segnalati, pari cioè al 40 per cento dell’intero gruppo. In totale, le donne rappresentano il 35 per cento, ma tra i minorenni radicalizzati la quota femminile si eleva al 56 per cento. Uno dei casi più emblematici che conferma l’eterogeneità dei profili, la forte presenza femminile e l’assenza di una connessione esclusiva tra miseria e terrorismo è quello di Vesoul, comune di 15.000 abitanti situato nel Grand Est, nel dipartimento dell’Haute-Saône, sconvolto a fine 2014 dalla partenza per la Siria di otto giovani tra i 20 e i 30 anni, tutti figli della classe media, chi di medici, chi di insegnanti, chi di piccoli imprenditori, chi di funzionari pubblici. Tasso di disoccupazione nella media nazionale, delinquenza limitata, lontano dall’immagine di luogo della disperazione senza orizzonti di vita, Vesoul non era apparentemente una città fertile per la radicalizzazione. E però, questi otto giovani, sei ragazzi e due ragazze, quasi tutti convertiti, dopo aver frequentato la moschea locale – alcuni anche quella di Besançon, città dove studiavano – hanno deciso di abbandonare tutto, il lavoro, l’università, la famiglia, per imbracciare le armi nelle terre del Califfato. Si conoscevano tutti dai tempi delle scuole elementari: uno di loro, Pierre Choulet, è morto da kamikaze lo scorso anno, degli altri non si hanno più notizie. Un altro caso che merita di essere sottolineato è quello di Lunel, comune di 27.000 abitanti situato nel dipartimento dell’Hérault. Da città placida del Midi, a metà strada tra Nîmes e Montpellier, Lunel è diventata la capitale del jihad, la “Raqqa francese”, come è stata soprannominata, dopo che una ventina di giovani hanno deciso di partire per la Siria.
Nel “laboratorio in miniatura del jihad made in France”, come lo ha definito il Monde, tutti i giovani candidati alla guerra santa si sono fatti indottrinare dagli imam radicali che predicavano alla moschea El Baraka. Un inquietante “jihad tra amici”, come raccontato dal settimanale Valeurs Actuelles, tra ex compagni di liceo. Ma sono molte le culle del jihadismo in Francia. A partire dall’Île-de-France, la regione di Parigi, dove la Seine-Saint-Denis detiene il record di partenze e di segnalazioni per radicalizzazione. Subito dopo, nella classifica dei dipartimenti più colpiti dal jihadismo, ci sono le Alpes-Maritimes, dipartimento di Nizza, il Rhône, con più di 300 segnalazioni di radicalizzazione nell’ultimo anno, il Nord, dipartimento di Lille e Roubaix, la Haute-Garonne, che ha Tolosa, la città di Mohammed Merah, come capoluogo, e il Bas-Rhin, dove Strasburgo figura tra le capitali del jihad in Francia. La stessa Bretagna, tra le regioni più cattoliche di Francia, si è trasformata in un “nido di salafiti”, come raccontato recentemente da Paris Match, con un aumento inquietante dei convertiti all’islam. La “filiera bretone”, cresciuta nel solco di Forsane Alizza, gruppuscolo islamista originario di Nantes dissolto nel 2012 per incitamento alla lotta armata, è una tra le più importanti di Francia assieme a quella di Strasburgo, di Champigny-sur-Marne (Val-de-Marne), delle Buttes-Chaumont (quella di uno dei dei due fratelli che hanno commesso una strage a Charlie Hebdo, Cherif, e di Amedy Coulibaly, l’attentatore del supermercato kosher Hyper Cacher), e di Cannes-Tourcy. La Normandia è anch’essa considerata dall’intelligence un covo dell’islam radicale. Maxime Hauchard, francese di 24 anni convertito all’islam, ora soprannominato il “boia dell’Isis”, frequentava la moschea d’Elbeuf, a Saint-Etienne-du-Rouvray, lì dove si è radicalizzato anche Adel Kermiche, lo sgozzatore di padre Hamel, il parocco della chiesa locale. Nessun dipartimento è stato risparmiato dal fenomeno della radicalizzazione, tranne la Creuse, situato nella regione Nuova Aquitania, dove ad oggi non c’è stata alcuna segnalazione. Anche i dipartimenti d’oltremare sono stati toccati dal fenomeno del jihadismo.
Secondo le cifre dell’Uclat, nell’isola della Réunion sono stati segnalati 100/200 radicalizzati, come nelle Bouches-du-Rhône, il dipartimento di Marsiglia, e nella Gironda, il dipartimento di Bordeaux. Per quanto riguarda le partenze verso la Siria e l’Iraq, 80 sono state registrate nella Réunion, una quarantina a Mayotte e 8 nella Guadalupe e nella Martinique. Fabien Clain, mentore di Mohammed Merah e di suo fratello Abdelkader, noto per aver rivendicato dalla Siria gli attentati del 13 novembre a Parigi, è originario dell’isola della Reunion. Il suo nome è apparso anche nei dossier sui poliziotti uccisi dal terrorista Larossi Abballa a Magnanville e sull’attentato mancato alla chiesa di Villejuif (Val-de-Marne), che era stato pianificato da Sid Ahmed Ghlam. Assieme a Clain, gli altri tre volti del reclutamento jihadista in Francia sono quelli di Omar Omsen, Mourad Farès e Rachid Kassim. Il primo, originario di Nizza, ha indottrinato decine di giovani provenienti dalla capitale della Costa Azzurra e fondato in Siria la sua “katiba” (brigata) di aspiranti martiri; il secondo, cresciuto nell’Haute-Savoie, è stato uno dei principali reclutatori di giovani francesi e ha convertito al jihad uno dei terroristi del Bataclan, Foued Mohamed-Aggad; il terzo è onnipresente negli ultimi dossier sul terrorismo islamico e i servizi di Parigi sospettano che abbia avuto un ruolo più o meno importante in tutti gli attentati commessi in Francia in questi due anni.
Accanto ai dati sulla radicalizzazione, è necessario soffermarsi anche sui numeri delle moschee in Francia, moltiplicatesi per 25 negli ultimi quarant’anni. Nel 1970 le moschee sul suolo francese erano un centinaio, oggi sono circa 2.500. 410 sono i luoghi di culto musulmani in fase di costruzione e il ritmo è di quasi due nuove moschee a settimana da dieci anni a questa parte, secondo i numero dell’Annuaire des mosquées de France. Sulle quasi 2.500 moschee, l’Uoif (Union des organisations islamiques de France), l’antenna francese dei Fratelli musulmani il cui motto è “Il Corano è la nostra Costituzione”, ne controlla più di 400. 120 sono le moschee salafite recensite dal ministero dell’Interno. Negli ultimi cinque anni i luoghi di culto radicali sono raddoppiati e soltanto nella regione parigina si troverebbero 5.000 adepti del salafismo: numero che si è moltiplicato per dieci negli ultimi dieci anni. Inoltre, secondo una recente inchiesta del Figaro Magazine che ha citato fonti interne ai servizi, sarebbero almeno 148 le sale di preghiera gestite dai salafiti, dove spesso si genera il brodo di coltura della generazione jihad.
Poche settimane fa, a nord di Parigi, nella moschea di Villiers-sur-Marne, le autorità hanno chiuso una scuola coranica che proteggeva dodici jihadisti condannati per essere andati in Siria, e che al suo interno dava corsi di sharia a una ventina di bambini tra i 6 e i 12 anni. L’intento è quello di di creare una controsocietà in rottura totale con la République, in cui il jihad viene reso pericolosamente commestibile.