Perché l'operazione fra At&T e Time Warner fa bene a utenti ed elettori
New York. Uno scrupoloso esame dell’Antitrust dirà se il colossale matrimonio fra At&T e Time Warner ha i requisiti per essere celebrato, ma ciò che si sa è che l’operazione da 85,4 milioni di dollari guidata da Randall Stephenson, amministratore delegato del gigante delle telecomunicazioni, ha scatenato reazioni furibonde. Le critiche afferiscono essenzialmente a due ordini di ragioni, ben espresse dalle posizioni dei candidati alla Casa Bianca. I consiglieri economici di Donald Trump dicono che “occorre un nuovo modo di guardare alle acquisizioni” e sottolineano gli effetti negativi sulla qualità dei servizi e i prezzi delle situazioni di monopolio o oligopolio. “Distruggeremo questo accordo”, ha promesso il candidato.
Le preoccupazioni di Tim Kaine, candidato vicepresidente nel ticket democratico, sono più sbilanciate sulla questione della libertà di stampa: il merger rappresenta infatti un’alleanza non convenzionale fra telecomunicazioni e media, dove un grande provider telefonico assorbe un’azienda di servizi della tv via cavo che ha in pancia, fra le altre cose, anche Cnn e Hbo. “Penso che meno concentrazione sia in generale un bene, specialmente per i media”, ha detto Kaine, suonando un implicito campanello d’allarme per le simpatie repubblicane di Stephenson. Da una parte c’è la preoccupazione per l’inefficienza economica, dall’altra quella per il diritto all’informazione, messo a repentaglio da un conglomerato che controlla i contenuti giornalistici e i modi per diffonderli. Il primo approccio è orientato alla difesa del consumatore, il secondo a quella del cittadino.
Nella stagione elettorale le due categorie sono particolarmente difficili da distinguere, così com’è difficile distinguere gli effetti veri da quelli presunti in questo affare senza precedenti. Sull’argomento dell’efficienza economica è certamente vero quello che ha detto al New York Times l’analista di Btig Rich Greenfield: “Diciamoci la verità: i prezzi non scenderanno grazie a questo affare. Non penso che l’integrazione verticale vada a vantaggio degli utenti”, ma è altrettanto vero che molti fra quelli che si stracciano le vesti per l’entrata in scena di un leviatano della comunicazione che uccide la competizione non sanno che, quando si tratta della tv via cavo, nella maggior parte degli Stati Uniti la competizione è già morta.
Fatta eccezione per le grandi città delle zone costiere – e nemmeno tutte, a dir la verità – gli utenti sono spesso strangolati dall’assenza di alternative per accedere alla tv via cavo, servizio offerto da una pletora di monopolisti locali che si sono spartiti il territorio. In questo caso, la molteplicità di aziende che offrono lo stesso servizio non è sinonimo di competizione ma di lottizzazione del mercato, perché di fatto i provider locali non competono fra loro, oppure fanno cartello. At&T ha spiegato il meccanismo nel comunicato stampa: “Con un network di telefonia mobile che copre oltre 315 milioni di persone negli Stati Uniti, la nuova compagnia sarà il primo provider a competere a livello nazionale con le aziende della tv via cavo nella diffusione del contenuti”.
Non sempre l’agglomerato riduce la competizione, e se anche il merger non abbasserà automaticamente i prezzi dei servizi la speranza è che possa almeno rallentare il loro aumento: in media il prezzo della tv via cavo è cresciuto negli ultimi cinque anni a ritmo doppio rispetto all’inflazione. Il Wall Street Journal ha definito “esilaranti” le preoccupazioni per una presunta corruzione dell’indipendenza dei network di Time Warner da parte di At&T e del suo ceo conservatore. Il quotidiano spiega a chi non se ne fosse accorto che “le proprietà di Time Warner viaggiano tutte nella stessa direzione politica, ovvero verso sinistra” e Stephenson, concentrato sul profitto, “non vuole certo affrontare il disastro politico che comporterebbe cambiare la visione del mondo di Time Warner oltre i millimetri di differenza che separano Christiane Amanpour e John Oliver”.
Non ci sarà, insomma, alcuna svolta autoritaria e fascista con la nuova proprietà, il mastodontico gruppo non accentuerà il regime oligopolistico che già vige nell’ambito della tv via cavo e la Cnn non si trasformerà improvvisamente in una filiale di Fox News appena più moderata. Anche se la vera domanda è come mai, negli anni, è diventata la filiale appena più moderata di Msnbc.