Hillary dichiara guerra totale all'Fbi per arginare la “october surprise”
New York. Hillary Clinton ha dato ordine ai pretoriani di accerchiare e aggredire il direttore dell’Fbi, James Comey, evitando di fare prigionieri fra quelli che si oppongono alla missione. Di fronte all’inedita manovra di Comey, che venerdì con una lettera sibillina ha comunicato al Congresso di aver scoperto attraverso un computer del disgraziato twittatore Anthony Weiner nuove email “pertinenti” al famoso caso clintoniano già chiuso a luglio, la candidata democratica aveva diverse possibilità: minimizzare, negare la rilevanza dei messaggi recuperati, prendere le distanze da Huma Abedin, la consigliera e figlia surrogata che vive il dramma di aver generato questa mezza “october surprise” per la sola colpa di essere stata la moglie di un impenitente specialista del sexting. E’ frugando fra i file di Weiner, sospettato di avere relazioni social indecenti con una minorenne, che gli investigatori si sono imbattuti in materiale clintoniano sensibile.
Hillary ha scelto la strategia dell’attacco frontale a Comey, colpevole di aver diffuso la notizia non di un’inchiesta in corso – cosa che già sarebbe irrituale – ma dello sviluppo potenziale di una vicenda politicamente delicatissima. Quando Comey ha informato il Congresso, l’Fbi non aveva nemmeno ricevuto dal dipartimento di Giustizia il mandato di scandagliare le 650 mila email ritrovate tramite il computer condiviso da Huma e Weiner. La candidata parla di una invasione di campo “senza precedenti”, i suoi consiglieri gridano alla politicizzazione della giustizia, si intervistano gli eroi del Watergate per tracciare paragoni con le paranoie dell’èra Nixon. Nel gioco degli eccessi e delle strumentalizzazioni è entrato a gamba tesa anche Eric Holder, ex procuratore generale nonché scudo e spada dell’Amministrazione Obama, che con un editoriale tranchant sul Washington Post ha condannato la condotta dell’ex sottoposto Comey: “Anche gli uomini buoni fanno degli errori. In questo caso, ha commesso un errore serio con implicazioni potenzialmente gravissime”.
James Comey (foto LaPresse)
In cosa consiste il peccato di Comey? Nella violazione dei protocolli dell’Fbi. Ha disatteso regolamenti interni – proprio quelli riscritti da Holder – e violato le tradizionali divisioni dei ruoli. Il dipartimento di Giustizia avrebbe potuto emettere un ordine diretto per impedirgli di informare il Congresso sull’esistenza di email “pertinenti”, ma non l’ha fatto: si è limitato a sconsigliare. Strano destino quello di Comey, che qualche mese fa era osannato da Hillary per avere chiuso il caso delle email, declassando la colpa della candidata a una macroscopica svista. Ora che le parti sono rovesciate, la candidata non ha pietà. Il leader del Senato Harry Reid accusa addirittura Comey di tenere nascosto al pubblico “informazioni esplosive sugli stretti legami e il coordinamento fra Donald Trump, i suoi consiglieri e il governo russo”. In altre parole: il Cremlino detta la linea a uno dei candidati, l’Fbi lo sa ma fa finta di niente. Non siamo lontani dall’accusa di alto tradimento.
In questo plot che abbraccia tutti gli elementi della serie tv a sfondo politico, dal sesso come segreto motore dell’azione al gioco dei tradimenti fra apparati fino all’affiorare del grande motivo geopolitico, due punti cruciali rimangono al momento oscuri. Il primo riguarda il contenuto delle email. E’ molto probabile che una grossa parte dei messaggi sia già stata analizzata dagli agenti nella precedente inchiesta, ma ci vorranno diverse settimane per capire se e cosa c’è di nuovo. Il secondo aspetto riguarda l’impatto elettorale. Una leggera flessione di Hillary nei sondaggi suggerisce l’acuirsi di un certo disagio dell’elettorato, che del resto l’ha sempre sopportata più che amata, ma per ribaltare i numeri Trump ha bisogno di un crollo verticale dell’avversario, non di una flessione.