La guerra urbana dell'Isis
Stato islamico più fiacco del previsto, gli iracheni entrano di slancio a Mosul
Dal nostro inviato nel nord dell’Iraq. Più che il risultato di un piano eseguito con cura, l’ingresso dei soldati a Mosul è il frutto di eventi che corrono più forte di quanto ci si aspettava: le forze speciali irachene da giorni premevano al confine est della capitale di fatto dello Stato islamico, dopo avere ripulito dai nemici le città cristiane della piana di Ninive, e nel pomeriggio di due giorni fa sono tracimate nei sobborghi occidentali della città, dove la linea di separazione tra Mosul e l'esterno non è marcata. Dopo due anni e mezzo l’esercito rimette piede nel secondo centro più importante del paese dopo Baghdad, da dove era stato cacciato nel giugno 2014. Ancora gli altri pezzi dell’offensiva, che è complessa come un puzzle, devono cadere al loro posto: dalla direttrice sud il grosso dell’esercito deve colmare una distanza di decine di chilometri e a ovest le milizie sciite sono a metà dell’opera, dove per opera s’intende che devono conquistare lo spazio tra Mosul e Tal Afar, che è un’altra guarnigione molto coriacea dello Stato islamico. Le truppe curde sono ferme, perché hanno già svolto il loro ruolo, prendere lo spazio a est della città, e si sono attestate su quella che probabilmente diventerà la loro nuova linea di confine, e che sarà contestata dal governo di Baghdad. Occupiamoci però di una guerra per volta. Questa accelerazione fino a dentro Mosul è dovuta al fatto che per ora lo Stato islamico offre meno resistenza del previsto. E’ vero che non aveva interesse a montare una difesa strenua villaggio per villaggio nella zona rurale che circonda Mosul, perché avrebbe soltanto sprecato uomini in campo aperto – una situazione che non gli è congeniale – ed è vero che ora in città può dettare le condizioni di una guerriglia urbana che potrebbe durare mesi. Ma ci si aspettava un attrito più forte: per ora, a dispetto dei tunnel monumentali scavati attorno alla città, lo Stato islamico più che un combattimento convenzionale sta offrendo lo spettacolo di un suicidio di massa, considerato che ha lanciato circa 80 operazioni kamikaze in sedici giorni. La sequenza di volontari suicidi lanciati dal gruppo terroristico contro le colonne di mezzi corazzati delle forze irachene che avanzano verso Mosul è così veloce che la propaganda – che di solito celebra in pompa magna ogni singolo “shahid” con foto e video – ha difficoltà a tenerle dietro.
I primi a entrare in città sono stati i soldati meglio addestrati dell’Iraq, quelli del Cts (Counter terrorism service), che passano per una selezione durissima – su un plotone iniziale di 24 ne restano cinque o sei alla fine di un addestramento che dura cento giorni e che è gestito dagli americani, spiega un loro ufficiale al Foglio. In Iraq sono conosciuti come la “Divisione d’oro”, e si distinguono perché vestono in nero.
A dispetto dei toni trionfali e della relativa facilità, c’è da ricordare che queste battaglie a volte richiedono mesi per consumarsi e Mosul potrebbe essere la più tosta di tutte. Il primo ministro iracheno Haider al Abadi ha detto che “Inshallah, taglieremo la testa del serpente, non hanno via di scampo, o si arrendono o moriranno”. In realtà, è probabile che i comandanti dello Stato islamico abbiano diviso le forze in due tronconi: uno votato alla morte che rimarrà dentro Mosul per far pagare a prezzo carissimo la conquista della città al governo iracheno, e userà qualsiasi mezzo, anche i più crudeli, compreso lo sfruttamento dei civili come scudi umani; un secondo che invece si disperderà, se non l’ha già fatto, e che includerà i capi, per spostare il centro di comando altrove. La direzione della fuga è verso la Siria, verso Raqqa, la capitale di riserva, dove però, annunciano gli americani, nelle prossime settimane comincerà un’operazione di accerchiamento simile a quella di Mosul per non dare respiro agli estremisti. In questo caso non ci sarà la Divisione d’oro, ma le forze miste curdo arabe sotto la sigla Sdf (Forze siriane democratiche) addestrate – anche loro – dagli americani.