Per Xi Jinping non c'è età che tenga nella corsa al potere
Roma. La “notizia più importante dell’anno” per la politica cinese non è arrivata dall’assemblea sapientemente coreografata che il Partito comunista ha chiuso la scorsa settimana, né dai discorsi di gran respiro che Xi Jinping, presidente e leader sempre più supremo, inanella da mesi. E’ arrivata dalle parole di un funzionario di livello medio-alto durante una conferenza stampa di non altissimo profilo organizzata dal governo a Pechino. Il limite d’età per i dirigenti più anziani del Partito, regola non scritta in vigore da circa vent’anni che consente il ricambio generazionale ai vertici della seconda potenza mondiale, sarà abolito, e questo è il segnale più importante del fatto che nella sua corsa per il potere Xi Jinping non avrà riguardo delle regole che hanno garantito finora la stabilità del regime cinese.
Deng Maosheng, uno dei cinque direttori dell’Ufficio centrale per la ricerca politica, organo che stila l’ideologia di partito, ha detto lunedì ai giornalisti che la politica dei “sette su, otto giù” non esiste, che è “puro folclore” che “non può essere considerato valido”. A riportare la notizia per primo è stato Bloomberg. “Sette su, otto giù” è il modo in cui di spesso è definito il limite di età di 68 anni per le alte cariche del Partito e che prevede che al momento del ricambio quinquennale della leadership chi ha 67 anni resta, chi ne ha più di 68 è costretto al pensionamento. Il Congresso del Partito comunista che segnerà questo ricambio è fissato per l’autunno prossimo, e per allora cinque dei sette membri del Comitato permanente del Politburo, l’organo onnipotente che da cui dipende la decisione finale su tutte le questioni di stato, avranno almeno 69 anni, esclusi il presidente Xi (la cui riconferma per il secondo mandato è scontata) e il premier Li Keqiang. Xi Jinping rischia così di perdere i suoi principali alleati, in un momento delicato in cui, almeno in teoria, dovrebbe iniziare i preparativi per formare il suo successore.
Tra le perdite che brucerebbero più di tutte a Xi c’è Wang Qishan, capo delle operazioni anticorruzione che hanno portato a indagare più di un quarto di milione di funzionari comunisti. Wang è uno degli amministratori più competenti di tutta la Cina, ha un curriculum economico eccezionale che ha fatto pensare a lui come possibile sostituto di Li Keqiang nel ruolo di premier (in Cina di solito è il premier a capo delle questioni economiche, anche se negli ultimi anni Xi ha assunto su di sé anche queste funzioni). Ma l’anno prossimo, al momento del Congresso, Wang avrà 69 anni e dovrebbe ritirarsi.
Da mesi girano voci sulla possibilità che Xi disubbidirà al limite di età, ma nessun funzionario del partito aveva prima d’ora dato una conferma così esplicita, per quanto non ufficiale, della volontà del presidente. Come spesso avviene per le questioni di politica cinese, nessuna novità è davvero definitiva fino a che non viene messa in atto, e dunque i rumor continueranno a susseguirsi fino a che l’anno prossimo Xi non presenterà i nuovi membri del Comitato permanente al mondo, e gli osservatori potranno vedere con i loro occhi se Wang sarà ancora al suo posto. Ma ormai Xi sembra pronto a riscrivere le regole.
La politica dei “sette su, otto giù” non è scritta in nessuna Costituzione o regolamento. E’ stata inventata a tavolino da Jiang Zemin, presidente dal 1989 al 2002, per mettere fuori gioco un rivale più anziano, ed è essa stessa la prova della liquidità del sistema cinese. Ma con il tempo è diventata uno dei capisaldi della crescente istituzionalizzazione dei processi politici all’interno del Partito, ed è vista da molti come una delle garanzie del fatto che i delicati momenti di transizione tra una generazione e l’altra sono gestiti secondo un sistema di regole più o meno certe, e non in base alla legge del più forte.
Il fatto che Xi sia pronto a venir meno a questa regola, unito all’assenza di successori plausibili, ha fatto temere alcuni osservatori che il presidente stia pensando di riscriverne altre, compresa una delle più importanti, questa sì, scritta nella Costituzione: il limite di due mandati per il presidente, che per Xi scadranno nel 2022. All’assemblea della settimana scorsa, il Partito ha nominato Xi “cuore”, “nucleo” della leadership, titolo onorifico assegnato ai più importanti leader della storia comunista, segnale quanto meno di una fortissima centralizzazione del potere.
La nonchalance con cui Deng Maosheng ha privato di fondamento una delle regole non scritte più importanti del sistema politico cinese (che è in gran parte regolato in maniera informale) mostra uno degli aspetti più affascinanti del Partito comunista, la sua capacità di riscrivere la storia. Un caposaldo del sistema cinese diventa “folclore” quando non serve più, e questa reinterpretazione del passato per rispondere agli indirizzi della politica del presente è sempre avvenuta a ondate nella Cina comunista. L’ultima campagna, ha notato l’Economist nel suo ultimo numero, è quella contro il “nichilismo storico” di chi nega l’inevitabilità della marcia della Cina verso il socialismo sotto la guida del suo leader “nucleo”. Il titolo onorifico ottenuto dal leader cinese è solo l’ultimo di una lunga lista. Xi è già segretario del Partito, presidente, capo delle Forze armate, capo delle commissioni sulla sicurezza nazionale e sulle riforme, entrambe create appositamente per lui. Il titolo di “nucleo” della leadership è di certo il più evocativo, ma tutto rientra in una visione magniloquente della storia in cui il Partito – e la leadership di cui Xi è il nucleo – sono a capo della costruzione di una Cina forte e vittoriosa nel mondo, dove non c’è spazio per nessun tipo di nichilismo. Da quattro anni Xi è impegnato nella costruzione di questa leadership che sta allentando uno per uno i freni inibitori costruiti dopo gli eccessi del maoismo. Il problema è se sarà capace di lasciare il posto al suo successore a tempo debito.
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