Hillary Clinton in un comizio in Florida (foto LaPresse)

Strade per la vittoria

Sondaggi, Fbi, mercati e minoranze. Tutte le debolezze di Hillary

Dopo la lunga notte del consenso, Trump intravvede un pertugio per sfondare il “firewall” democratico.

New York. Nell’irrituale manovra di soccorso di Barack Obama si intravvedono i punti di debolezza di Hillary Clinton. Martedì il presidente non aveva una posizione ufficiale sulla querelle fra la candidata e l’Fbi, e si è limitato ad affidare al suo portavoce una dichiarazione di neutralità. Mercoledì invece la posizione l’ha trovata: “Non agiamo su informazioni incomplete. Non agiamo su leak. Agiamo soltanto su decisioni concrete”. Il nome di James Comey non è comparso nell’intervista del presidente, ma lo schiaffo sul volto del direttore dell’Fbi è arrivato, inequivocabile. Il cambio di passo della Casa Bianca esprime l’esigenza di puntellare la posizione di Hillary, che prima della riapertura del caso sulle email pareva volare senza sforzo verso una vittoria priva di ombre e ora improvvisamente ripiega in difesa, rinforzando il “firewall” degli stati più sicuri che le garantirebbero la vittoria del collegio elettorale anche in assenza di leggendari “swing state” come Florida e Ohio.

 

Alcuni sondaggi nazionali che riflettono lo scarto di umore dell’elettorato dopo la scoperta, ancora totalmente vaga e inconsistente, che c’è “materiale pertinente” a un’inchiesta chiusa a luglio, danno Trump e Hillary in perfetta parità, alcuni addirittura mettono il repubblicano in vantaggio. Altri continuano ad assegnare la vittoria a Hillary, ma entro il margine di errore. I più accorti sanno che i sondaggi nazionali non contano nulla, perché bisogna guardare la situazione stato per stato, ma i più accorti ancora sanno che i rilevamenti nazionali e quelli locali sono collegati. Gli stati sono pur sempre uniti.

 

Sulla base di questa osservazione Nate Silver, sondaggista supremo, ha rivisto al ribasso le chance di vittoria della democratica, alla quale assegna il 69 per cento di possibilità di battere Trump. La questione rilevante è che secondo Silver il candidato ora vede un “path”, un percorso verso la vittoria che a lungo è stato invisibile. Certo, il sentiero è impervio, e implica necessariamente la rottura del “firewall” di Hillary: oltre agli stati in bilico deve vincere qualcuno fra Colorado, Pennsylvania, Wisconsin o Michigan, luoghi a chiara tendenza democratica che Trump sta battendo in questi ultimi scampoli di campagna. In questo contesto, la decisione di Hillary di andare a fare campagna in Arizona, stato repubblicano con qualche margine di manovra verso sinistra, può essere letta come strategicamente sbagliata, come fa Silver, ché farebbe bene a consolidare ciò che ha. Oppure, al contrario, significa che Hillary è talmente convinta dei numeri che girano all’interno della campagna da potersi permettere il lusso di ignorare il rumore di fondo che arriva da una pletora di sondaggi che la danno in flessione.

 

In questo caso, il fermento di queste ore sarebbe soltanto una turbolenza passeggera. Eppure la circostanza è sufficiente a spingere i mercati in territorio negativo: anche qui, però, la sovrapposizione del crollo dei prezzi dell’energia, dell’instabilità elettorale e dell’imminente decisione della Fed sui tassi rende complicato afferrare qual è l’elemento trainante. La debolezza percepita di Hillary si scorge anche nel calo dell’affluenza degli afroamericani che hanno già votato. In North Carolina c’è un calo del 16 per cento rispetto a quattro anni fa, in Florida del 15, dati poco confortanti per un candidato che ha assolutamente bisogno del voto delle minoranze. Circola infine una teoria controintuitiva: è la stessa Hillary a cavalcare e alimentare la percezione della sua stessa crisi, per trasmettere a quella fetta di democratici tiepidi o poco galvanizzati l’urgenza di andare alle urne martedì prossimo per fermare l’invasione del barbaro Trump. E’ l’ultima e più delicata fase della campagna, il “get out the vote”.