Amnesy international
Roma. Per chi non lo sapesse, gli “hotspot”, i centri per i migranti che arrivano in Italia, sono come Garage Olimpo, il più famosa delle carceri clandestine di Buenos Aires, dove la dittatura militare torturava i desaparecidos. Almeno si apprende questo a leggere il rapporto di Amnesty International, che accusa l’Italia niente meno che di “tortura” dei migranti. Nel report compare una sequenza di testimonianze, mai comprovate, che descrivono metodi degni della giunta Videla. Un “testimone”, che si qualifica con il nome di “Adam”, parla di “una specie di pinza con tre estremità” con cui i poliziotti italiani gli hanno afferrato i testicoli. Prove? Referti medici che attestano le violenze? La versione dei poliziotti italiani? Sembra che non servano nel magnifico mondo di Amnesty International, dove una democrazia occidentale può essere tranquillamente accusata di “tortura”. Già a febbraio Antonio Marchesi, presidente della sezione italiana di Amnesty, aveva detto: “Chi, trovandosi in questo momento in Italia, abbia commesso atti di tortura può, nella grande maggioranza dei casi, dormire sonni tranquilli”. Un mese fa, Amnesty aveva diffuso un rapporto simile sui centri per migranti in Australia, un’altra democrazia tacciata di “tortura” dalla ong che ha vinto il Premio Nobel.
Il mondo ha un debito di riconoscenza verso Amnesty, ma questa sembra aver perso da tempo il lume di quella candela, una piccola candela, accesa ma prigioniera tra le spire di un filo spinato e che è il suo simbolo. L’allora segretario generale di Amnesty, Irene Khan, ebbe a definire il carcere americano di Guantanamo “il Gulag del nostro tempo”, paragonando i lager sovietici dove sono morti tre milioni fra sacerdoti, dissidenti, kulaki e gente comune, a una base militare americana dove non è morto nessuno e che forse ha evitato che centinaia di civili saltassero per aria. Da tempo, Amnesty sembra aver spento la luce dei diritti umani in favore di un fosco pregiudizio antioccidentale. Per questo il settimanale inglese Economist ha accusato Amnesty di “riservare più pagine agli abusi dei diritti umani in Gran Bretagna e Stati Uniti di quanti non ne dedichi a Bielorussia e Arabia Saudita”. E’ questa l’equivalenza morale che ha portato Amnesty a impiegare per gli hotspot italiani lo stesso linguaggio che usa per descrivere le carceri di Bashar el Assad.
L’ambasciatrice americana all’Onu Jeane Kirkpatrick ebbe a definire “ipocrita” Amnesty per i suoi silenzi su tragedie politiche del Novecento che non hanno scaldato i cuori umanitaristi, come quelle in Angola e Nicaragua e come il genocidio cambogiano di Pol Pot. Quando in Etiopia e in Sudan migliaia di persone morivano per fame e tortura (quella vera), Amnesty aveva come principale obiettivo l’abolizione della pena di morte negli Stati Uniti. C’è sempre tortura e tortura.
E che ad Amnesty ci sia tortura e tortura se ne era accorta anche una dirigente di spicco di quella ong, l’algerina Karima Bennoune, autrice di “Your fatwa does not apply here”. “Durante i miei anni ad Amnesty ho condiviso le preoccupazioni sulla tortura in Algeria”, ha scritto Bennoune nel libro. “Ma non potevo comprendere la risposta dell’organizzazione alla violenza dei gruppi fondamentalisti. Amnesty era cieca a quello che i fondamentalisti facevano ai diritti umani. Amnesty descrisse l’atmosfera in Algeria come uno stato di ‘confusione su chi commette i crimini’. Questo ha terribilmente sminuito i tentativi delle vittime di veder riconosciuta la propria storia e i colpevoli giudicati”. Se Guantanamo è il Gulag, come non chiedere l’arresto del suo comandante in capo? E’ quello che Amnesty ha fatto due anni fa, rivolgendo al Canada la richiesta di arrestare George W. Bush. “Il Canada è obbligato ad arrestare e perseguire Bush per la sua responsabilità in crimini di diritto internazionale tra cui la tortura”, ha detto Susan Lee, direttore di Amnesty International America. La ong ha accusato anche Israele di “crimini di guerra”, chiedendo l’apertura di una inchiesta alla Corte dell’Aia. Ebrei torturatori, un grande classico che Amnesty ripete dal “massacro di Jenin” (che poi massacro non fu). E visto che Amnesty travisa il concetto di “tortura”, capita anche che il segretario generale di Amnesty, Claudio Cordone, dica che il “jihad difensivo” non è “antitetico” alla battaglia per i diritti umani. Lo disse in risposta a una petizione sul rapporto di Amnesty con Cageprisoners, la ong fondata dal fondamentalista islamico Moazzam Begg e che si batte per il rilascio di conclamati jihadisti.
Visti i precedenti, è quanto meno lecito dubitare che la polizia e le autorità italiane siano in combutta per “torturare” i migranti che hanno così generosamente salvato in mare da oltre due anni. Benvenuti nel meraviglioso mondo di Amnesy International.