Minority Report
Clinton o Trump? Come si è arrivati all'equilibrio di oggi
Oggi si vota negli Stati Uniti. Contrariamente a quanto si dice, penso sia stata una delle migliori campagne elettorali della storia, almeno di quella recente. Ovviamente occorre qualificare il “migliore”. Certo, è stata la più cruenta, la più priva di political correctness, la più polarizzata, la più sguaiata. Tuttavia, è stata anche una delle più seguite e rappresentative del paese reale e ciò è in gran parte dovuto al fenomeno Trump o, per guardarla dall’altro lato, alla radicalizzazione avvenuta nell’epoca di Obama. Sono in molti a dire che si tratta dei peggiori candidati di sempre, ma ciò non corrisponde né al massiccio appoggio alle loro candidature né all’interesse suscitato. Più semplicemente, come sempre i candidati rispecchiano il paese nel bene e nel male e questi due sono diventati addirittura icone di ciò che vogliono rappresentare.
Tanto per cominciare, Trump e Clinton sono stati rispettivamente il più votato di sempre alle primarie repubblicane e la seconda più votata di sempre (dopo il fenomeno Obama) a quelle democratiche. Hanno catalizzato 100 milioni di spettatori al primo dibattito e pochi di meno negli altri due. Ancora più notevole, hanno appassionato il pubblico mondiale come in una serie televisiva, con tanto di colpi di scena di sesso e Fbi. Infine, ed è ciò che forse conta di più, hanno messo in luce un nuovo confronto che è di fatto la questione dell’America attuale e che, spero, nessuno in Italia e in Europa voglia ripercorrere (anche se purtroppo se ne vedono i segnali, vedi le elezioni di Roma e Torino; Brexit; eccetera): il partito perbene dell’élite al potere non più connotata da destra e sinistra contro il partito buzzurro di tutti gli altri (il copyright dell’espressione è di Angelo Codevilla/Riccardo Ruggeri). Non ci saremmo accorti della centralità del nuovo confronto se fosse finita con una gara tra Clinton e Rubio. Ma la base repubblicana ha deciso alle primarie di combattere una battaglia effettiva, sbarazzandosi dei cloni del partito unico delle élite e provando a giocare la sua (forse ultima) disperata partita.
Due icone, dicevamo; ossia due immagini similari all’oggetto, in questo caso al popolo, che rappresentano. Lei è il personaggio perfetto del mondo perbene elitario: studia e riporta con serietà massima teorie politiche, economiche e sociali di maggioranza, anche se spesso tutt’altro che appurate scientificamente; parla sempre di integrazione e apertura all’altro ma è priva di empatia; predica onestà ma ha dovuto fare compromessi politici ed economici da decenni. Lui è l’emblema del mondo buzzurro: dice di volere trattare benissimo le donne ma si lascia andare a commenti e comportamenti osceni; dice cose che tutti pensano in segreto e che sono spesso vere ma senza freni di contesto e senza prove; ha fatto soldi e creato posti di lavoro ma senza scrupoli.
Non è un caso che di politica si sia parlato poco. I due candidati sostengono spesso le versioni estreme dei programmi classici dei loro partiti: lei è per l’aborto più tardivo possibile, lui per i muri più alti possibili. Hillary rappresenta tutti i contenuti dell’America bene eticamente liberal, economicamente legata al capitalismo finanziario e globalizzato, socialmente favorevole a un grosso impegno statale e a un moderato aumento dell’impegno internazionale. Donald è contro ciascuno di questi valori ma è anche contro le teorie neo-con dei Bush. E’ un conservatore tendente all’isolazionismo e alla realpolitik di altre epoche del Partito repubblicano.
Tuttavia, in epoca social, non sono i contenuti politici a fare la differenza. C’è qualcosa di più in atto e le icone anche troppo familiari dei due lo hanno mostrato. La rappresentazione iconica dei due mondi che li hanno votati mette in luce una differenza di concezione antropologica prima che politica. Lei è l’icona di un mondo con ideali etici egalitari elevati ma spesso astratti. E’ una cultura liberal che fa fatica ad accettare che la realizzazione pratica di tali ideali richieda molti compromessi, giudicati peraltro disdicevoli ma inevitabili, salvo poi vergognarsene e rincorrere maniacalmente una segretezza ancora più riprovevole. Lui è l’icona di un mondo che si sente arrabbiato e frustrato, che vede l’America perdere la sua centralità e la sua differente cultura, piena di puritanesimo e coraggio, di determinazione e competizione sino alla violenza, a spese di una globalizzazione che è prima culturale che economica, che cede potere a organismi centrali invece che basarsi sulle comunità locali.
Clinton e Trump hanno rappresentato alla perfezione i loro personaggi e, ciascuno nel suo modo e nel suo mondo, non potevano far di meglio. Alla fine, il colpo dell’audio vergognoso sulle donne e quello dell’Fbi sulla vicenda losca delle email hanno fatto appello alle profonde radici puritane che si scandalizzano per sesso e menzogne ben più degli scettici europei che dai politici non si aspettano nulla. Così hanno determinato l’equilibrio di oggi, con due candidati che sono lo specchio della decisione antropologica che oggi ogni americano dovrà prendere.
I conservatori inglesi