Marxista + banalista + salottiera = Trump
Che cosa collega Clemente Russo (sta per Roberto Saviano, suo sostenitore e omologo), Slavoj Zizek e Maureen Dowd? Trump, naturalmente. Nel documentario di Rocca & Pistolini per Discovery (in onda ieri sera) l’apertura di un prodotto squisito (dico sul serio) è dedicata, antipasto della casa, a un Saviano-Russo “vero italiano d’America” – e io che pensavo lo fossero i Gambino e i Genovese e i Gay Talese! –. Russo-Saviano biascica banalità berniesque su quanto The Donald dia voce all’esigenza urlante di rovesciare il tavolo dell’establishment. Su Repubblica un testo delirante del delirante filosofo sloveno diceva ieri che ci si può astenere, ma se si vota la scelta è Trump, così la sinistra rivoluzionaria saprà che cosa fare per quattro anni almeno. E la cronista mondano-politica Maureen Dowd ci ha fatto capire come la pensa sul New York Times: dopo una raffica di divertenti articoli-intervista in cui prendeva le sue distanze dai “valori” di Donald, ma non dalla persona, che le è amica e per la quale ha fatto propaganda subliminale, e che le si apre volentieri, ora ha spiegato che Hillary non la caga, in sostanza, e lei non ha tutta questa voglia di votarla, la candidata che non ama parlare con i reporter e ritiene l’abuso dei nuovi mass media qualcosa che allude a profili di insanità mentale. Ecco, uno dei motivi per votare la Clinton è l’antipatia che suscita nei naturali nemici di posizioni non conformiste. D’altra parte Raymond Aron diceva che uno gli amici non se li può sempre scegliere, ma i nemici sì.
Questa idea che da una posizione di sinistra piuttosto banale o cafona, o anche semplicemente da un’ottica radical-chic, si possa vedere in Trump la realizzazione di desideri inconfessabili non ha a che fare con la psicoanalisi ma con la storia del moralismo politico. Trump è l’approdo naturale di chi, come i tre menzionati, ha sempre affettato di detestare i Berlusconi e i Bush. Il primo sovraordinato alla politica tradizionale e insieme sua incantevole incarnazione pop, già pentapartitica, libertino in privato e adoratore delle donne anche in pubblico, facitore di libertà televisiva per la classe media e di alternanza alla guida dello stato. Il secondo dinasta della migliore tradizione politica repubblicana, combattente e vittorioso sui diversi fronti della sicurezza, della libertà, della stabilità internazionale contro l’islamismo guerrafondaio in Afghanistan e in Iraq (che ora, a tredici anni dalla liberazione di Baghdad, ha truppe impegnate nella liberazione di Mosul dallo Stato islamico). Ah, era anche contro l’aborto e la manipolazione dell’embrione, ma senza crociate illiberali, invitando ex feti alla Casa Bianca, gran colpo di teatro per l’epoca.
Invece Trump. Che detesta le donne in privato e in pubblico, fino al punto di trattare la materia come nello spogliatoio più lercio o alludere alle loro mestruazioni in caso di dissenso politico. Che vuole ritirare l’America dietro un muro di grettezza provinciale e di impotenza mondiale, al riparo dalle alleanze internazionali, dalla Nato, dall’Europa, dalla responsabilità di una città che si è sempre voluta al sommo di una collina. Che fungeva da tiranno da fumetto (New Yorker) nel suo reality “The Apprentice”, e che per colmo di garantismo ha varato lo slogan “Lock Her Up!”, in galeraaaa!!!!, come arma di campagna elettorale contro l’avversario. Questo billionaire va bene per il marxista, per il banalista, e per la cronista salottiera che sono così intelligenti da aver capito, come un posteggiatore abusivo alla Salvini (Vittorio Feltri), quanto il nuovo profeta sia importante per dar voce ai vocianti dell’America frustrata. Sarà per questo che mi stanno tanto antipatici?