Donald Trump (foto LaPresse)

Mi spiace, ma non capisco certo trumpismo. Rozza circolare elefantesca (che spero non avrà effetto)

Giuliano Ferrara
Il magna magna delle idee urlate e sbagliate non è scorrettezza politica. Che c’entriamo con la corsa nullista della destra trumpoide?

Questa è una rozza circolare elefantesca, che spero non abbia effetto, paradosso, perché lasciando la direzione del giornale non ho dato una delega con riserva, ho proposto un lascito pieno a chi deve impadronirsi fino in fondo della propria gioventù, della sua felice inesperienza, della sua baldanza e capacità di errore, che spero robuste come lo furono le mie. Detesto i vecchi che non mollano, vogliono morire con gli stivali, mangiucchiano i loro figli da cui non sanno imparare. Quindi, paradosso, non mollo. Ma solo nel senso che dico la mia da ospite grato di un foglio che si sta rivitalizzando e che promette non bene, benissimo. 

 

Giulio Meotti deve stare attento a un’arte di cui nel tempo divenne padrone assoluto, e maestro perfino per me: l’antintellettualismo. Me la cavo semplicemente ricordandogli che è un ebreo onorario, e che per primo deve, con Leo Strauss, occupare il common ground della cultura e dell’intelletto, cercando la giusta distanza dai gruppi di interesse rappresentati dall’odioso politicamente corretto e dai comportamenti di massa sollecitati e interpretati da demagoghi e semplificatori in nome della menzogna. Tra Scruton e la Trump University o la Trump steaks ci sono differenze incolmabili. 

 

Marco Valerio Lo Prete ha lo stigma benedetto di un’origine liberale, radicale e liberista. Inventammo insieme il tienimi-da-conto-Monti in una affannosa ricerca di impopolarità, quando esaminammo con giudizio, spes contra spem, l’esperimento tecnocratico italiano nell’emergenza, poi sputtanato in politica dal senatore a vita. E non ci siamo mai stancati di vantare la grandezza di una globalizzazione piena di difetti, diseguaglianze, crudezze, insieme alla grande energia dei mercati aperti, fondamento oggi di una democrazia che prevede i plebisciti non algoritmici della ragione e dell’interesse come vettore di crescita della ricchezza delle nazioni e anche del sentimento morale in un mondo in cui la povertà non si riduce con i balbettamenti delle interviste sciagurate di Papa Francesco (Smith, Adam). Il mercato chiuso del profeta dei forgotten white men, in un paese con la disoccupazione al 4 per cento e la crescita al tre per cento, è una truffa protezionista a scopo di lucro politico, e non solo politico. Può ben essere che Trump sia costretto a non fare più Trump, e venga fuori una presidenza repubblicana antifiscale e favorevole reaganisticamente allo small government, ma è da vedere, e comunque sarebbe una vittoria di mercati e sistema politico su Trump il demagogo e il vincente, non di Trump. Marco Valerio ci dovrebbe pensare con equilibrio.

 

Matteo Matzuzzi si è formato come un coraggioso osservatore della chiesa, del Vaticano e del pensiero cattolico nel mondo fatato e impotente, ma celestiale, rappresentato dal papato di Benedetto XVI e del suo predecessore guerriero e politico e santo ufficiale. Quello tra Trump e Hillary fu scontro tra due relativismi imbarazzanti, due, dico due, perché The Donald si presenta come un cristiano da reality show. E me ne fotto se adesso, in quella farsesca mascherata proceduralista, tanto necessaria ma tanto ridicola, gli stessi che lui voleva mandare in galera e che combatteva con il birtherism, un atto di disprezzo razziale per il presidente mezzo keniota e nero, dicono al mondo che è “reassuring”, rassicurante. I cattolici americani hanno votato come hanno potuto, cioè maluccio, ma sarebbe giusto aggiungere che tra i due mali la celebrity dei New York values non era il male minore, non necessariamente.  

 

Più in generale, osservo che la destra berlusconide, leghista e un tantino fascista, che ha sempre scambiato la scorrettezza politica con il magna magna delle idee urlate e sbagliate, una destra in cui si riconoscevano molti lettori del Foglio da rintuzzare e educare con amore e comprensione dall’alto, sí, dall’alto di una posizione colta, di ricerca e trasversale, berlusconiana e non berlusconide, conservatrice liberale e non trumpoide, ha tutto il diritto di fare l’ennesima corsa nullista, ma noi che c’entriamo? Abbiamo vissuto vent’anni nel disprezzo per le copie vendute, vendute in ogni senso, sennò avremmo pubblicato il Fatto, non il Foglio.

 

Penultima questione, last but not least, il garantismo giuridico, più importante di ogni considerazione dell’estetica antintellettualistica. Se uno si comporta da Caudillo del “Lock Her Up!” e da ideologo della colpa che viene prima del giudizio, anche nel caso degli afro e dei latinos di Central Park, questo è rilevante, e molto.

 

Ultima questione. Sono sempre stato contro la misofilia, variante becera del politicamente corretto anche quando sostenuta con le migliori e più delicate intenzioni, ma avrei votato presidente Alicia Machado, la reginetta di bellezza piggy, tendente all’obesità, che notoriamente mi è cara, o Megyn Kelly, la cui incantevole bellezza sfida ogni allusione alle sue naturali mestruazioni: adoro le nasty women, che piacciono anche al revirilizzante Langone, ma non lo sa. E per adesso ho detto tutto, sperando che non mi diate troppa retta, forse solo un poco, e che il nostro giornale venda più copie, ma sempre al prezzo giusto. Un bacio.

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.