Ci vuole una furba alleanza tra conservatori e progressisti per arginare gli effetti del trumpismo
L’idea che si possa fare a meno di una classe dirigente informata, preparata, colta, in certa misura separata o sacralizzata dall’esercizio dell’autorità, dalla pratica socialmente e intellettualmente consapevole del potere, è un vecchio mito stantio della destra autoritaria (destino, vocazione, popolo, uomo solo al comando), è pressappoco la tirannide, la totalità, la galera del pensiero la cui chiave sta nelle mani della moltitudine eccitata, organizzata come esercito della frustrazione e del risentimento e delle gigantesche ambizioni nazional-populiste. Le classi dirigenti falliscono, nascono per fallire, e la misura della loro fallibilità si chiama democrazia liberale. La rete non fallisce, come ha detto quello spregevole nazificatore della comicità italiana, “non c’è più il direttorio dei 5 stelle, bastano il programma e il web”. Ma la democrazia disarmata, senza spada, ha il tratto dell’illusione funesta.
Trump con la sua inciprignita e malinconica mortificazione, nata durante una cena del 2011 in cui quel fallito liberal di Obama, fallito di successo, si fece beffe di lui, porta alla guida del famoso “mondo libero” l’eterna pulsione alla semplificazione, alla falsa coscienza ideologica, al totalitarismo demagogico fondato sui numeri facili. Ora se la fa con i lobbisti e gli opportunisti che pullulano in ogni città politica, ora sembra tentato dalla figura del figliol prodigo, che si farà riconoscere e accettare per godere dei tesori della casa nel reame di un parodistico perdono cristiano e dell’accomodamento mondano, e i mercati nel loro santo immoralismo per adesso lo appaludono. Ha sconfitto la strega, la tradizione conservatrice, il Papa e gli intellighentij con una manciata di voti utili al dominio del collegio elettorale, con la sua personalità, la sua innegabile simpatia chiacchierona ammirata dai linciatori di ogni risma e da tanti cittadini stanchi dell’impotenza della politica democratica, con il suo bla bla bla, le sue minacce corroborate dall’alleanza con due potenze interessanti del mondo antico dei cosiddetti poteri forti, l’FBI e il KGB. Altro che Twitter, altro che Facebook.
Bisognerà venire a patti con lui e con la situazione, ma anche fare attenzione ai rischi del contagio, perché la storia talvolta ha l’apparenza, al contrario di come pensava Marx, di una farsa che si ripete come farsa. Gli applausi a Trump della destra antipolitica e della vaga sinistra di opposizione alla sinistra riformista, in Italia e in Europa, sono molto più insidiosi della parata festaiola del Ku Klux Klan. I ragazzi smanettatori si devono decidere a difendere il bello della rete e della diretta dai vecchi mestieranti che ne fanno uso manigoldo e dai sudditi tastieristi del sistema illusorio e corrotto in cui every man is a king, ogni uomo è re, secondo le fantasie dissolute della vecchia demagogia americana, maestra di vita. Un patto difensivo tra Bersani e Renzi, auspicato con encomiabile spirito militante, sarebbe utile ma servirebbe a poco. Ci vuole una furba alleanza, per niente santa, tra conservatori e progressisti in nome della lotta comune allo storytelling, alla pratica di sostituire il significato recondito, onirico, delle favole al letteralismo della buona scrittura politica. Solo cosí potrebbe essere possibile, se non sia troppo tardi, contenere e arginare il fiume di schiuma che viene dalla Trump Tower e dal suo vuoto luccicante in similoro.
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