Vale la pena combattere per un Califfato che ti uccide per un telefonino?
Roma. Il possesso di telefono cellulare è al centro della guerra scatenata dallo Stato islamico contro i civili di Mosul man mano che il gruppo estremista perde la presa sul territorio e sulla popolazione – perde con lentezza s’intende, a dispetto di alcuni report ottimistici che danno la caduta della città irachena per imminente: ci vorrà del tempo. Il 20 ottobre, secondo un report delle Nazioni Unite, lo Stato islamico ha ucciso sei uomini perché avevano conservato e nascosto le loro sim card invece di consegnarle come era stato ordinato. Una settimana dopo, il gruppo ha ucciso un uomo di ventisette anni perché lo ha trovato in possesso di un telefonino.
Anche i quaranta uomini che secondo le Nazioni Unite sono stati ammazzati e appesi ai pali della luce nelle strade di Mosul con cartelli al collo che li accusavano di essere spie e “agenti dell’esercito iracheno” – notizia data sabato – sono stati con molta probabilità condannati per il mero possesso di un telefonino. Le Nazioni Unite hanno provato a essere credibili sul dossier Mosul e hanno fonti dirette sul posto, perché – per esempio – il 29 ottobre hanno dato per prime con precisione la notizia di un eccidio avvenuto tre giorni prima a Hammam al Alil, una località termale a sud di Mosul.
Quando le truppe irachene hanno raggiunto e liberato il paese, due settimane dopo, hanno confermato l’informazione e hanno trovato fosse comuni con più di cento corpi, in alcuni casi intere famiglie. Nel caso di Hamman al Alil l’elemento che ha scatenato la strage potrebbe essere che gli uccisi erano ex appartenenti alla polizia e alle forze di sicurezza irachene, e quindi sarebbero stati i primi a cooperare con le truppe governative al loro arrivo. Così lo Stato islamico prepara il terreno per il dopo, uccidendo chi pensa che opporrà resistenza alle sue operazioni in futuro, quando non avrà più il controllo fisico di Mosul.
Anche secondo fonti del Foglio i cellulari dentro i confini del Califfato equivalgono a una condanna a morte: alcuni descrivono come per molto tempo hanno nascosto le loro sim card dentro buste di plastica e le hanno sotterrate, per poi usarle di nascosto in caso di necessità. Una fonte dice al Foglio che un’operazione di spionaggio da parte di un volontario che si era infilato il telefono in una manica arrotolata per filmare alcuni capi dello Stato islamico dentro una moschea è finita con la cattura e la morte perché il telefonino gli è caduto al momento dell’uscita. E’ probabile che in questo momento di caos e di ritirata la regola contro i telefonini sia applicata con più durezza indiscriminata perché lo Stato islamico si sente più vulnerabile e più sotto sorveglianza da parte della Coalizione – e soprattutto da parte degli apparati d’intelligence americano e iracheno, che lavorano più o meno assieme con droni e informatori.
A giugno un editto dello Stato islamico aveva proibito il possesso di parabole satellitari, con un ricco apparato di testo che descriveva le tv satellitari come “non islamiche” e che nascondeva dietro a motivazioni religiose la vera preoccupazione: ora che lo Stato islamico ha imboccato la parabola discendente della guerra, i canali tv offrono una controverità desolante e alternativa alla propaganda del gruppo.
I gruppi del jihad devono sempre trovare un qualche compromesso tra le loro istanze antimoderniste e la realtà. Quando i talebani controllavano l’Afghanistan negli anni Novanta avevano delegato il traffico aereo ai pachistani, che supplivano con i loro radar e le loro indicazioni. In questo caso però il divieto sui telefonini è una ferita grave al fascino che il Califfato vorrebbe esercitare sulle nuove generazioni: come fai a chiedere ai musulmani di emigrare nello Stato islamico – e a morire per esso – lasciandoti alle spalle anche, e per sempre, il telefono, mentre tutto il resto del mondo va avanti?