Perché Trump domina le primarie della destra anche in Francia
I tre “choc” ci Juppé, la voglia di rivalsa di Sarkozy, il multipolarismo di Fillon. Domenica il primo turno del voto tra i Républicains
Parigi. Si è aperto con una domanda sull’elezione di Donald Trump il terzo e ultimo dibattito tra i candidati alle primarie di destra e di centro in Francia, che per più di due ore, giovedì sera su France 2, hanno cercato di chiarire ai francesi il loro programma per le presidenziali del 2017, chi giocando la carta della prudenza (Alain Juppé), chi manifestando la sua voglia di rivalsa (Nicolas Sarkozy), chi invece mostrando la padronanza dei dossier (François Fillon). Non è stato un incontro di pugilato come molti si aspettavano: da una parte, secondo gli osservatori, perché tutti i candidati hanno cercato di adottare la “postura Fillon”, quell’equilibrio rassicurante che ha sedotto l’opinione pubblica e fatto risalire l’ex primo ministro nei sondaggi; dall’altra, perché dopo il primo turno di domenica, chi non andrà avanti sarà costretto a esporsi a favore di uno dei due candidati che si contenderanno la vittoria il 27 novembre. Sulle conseguenze per la Francia del trionfo di Trump, i sette pretendenti all’unzione di presidenziabile della destra repubblicana hanno mostrato divergenze, pur condividendo l’idea che si tratti di uno “choc” per le relazioni internazionali.
Per Juppé, saranno ben tre gli “choc” nei prossimi mesi: sul commercio, a partire dal Ttip (Trattato di libero scambio tra Stati Uniti ed Europa), che il presidente eletto vuole stracciare; sulla difesa, per via della sua strategia isolazionista; sullo sviluppo sostenibile, per la sua volontà di rigettare l’accordo di Parigi sul clima. Sarkozy, che non ha certo dimenticato quando Trump, a marzo, disse che doveva “andare in prigione” per aver contribuito all’“espansione del terrorismo” con la “sua” guerra in Libia, ha affermato la necessità di creare un “Buy European Act”, per contrastare economicamente un’America che “difenderà i suoi interessi con più aggressività”. Nell’isolazionismo di Trump, Sarkozy vede soprattutto un’“occasione per la Francia di riaffermare una leadership”, senza che gli Stati Uniti le “facciano ombra”, e la possibilità di un “ritorno dell’Europa sulla scena internazionale”. Nathalie Kosciusko-Morizet si è attaccata alle dichiarazioni borderline di Trump sulle donne, Bruno Le Maire, Jean-François Copé e Jean-Frédéric Poisson hanno giudicato il trionfo del candidato repubblicano come il risultato della “collera del popolo”, la stessa che in Francia potrebbe favorire Marine Le Pen, mentre Fillon ha dichiarato che la vittoria di The Donald incoraggerà una “relazione transatlantica più equilibrata” e una politica estera multipolare, con la Russia di Putin più amica che nemica.
Un’idea, quella fillonista, non certo condivisa dal presidente della Repubblica, François Hollande, le cui tensioni con Putin non sono mai state così forti, dopo la mancata visita a Parigi del mese scorso. A questo, va aggiunto che Hollande vede in Trump il nemico assoluto, colui che potrebbe gettare nel cestino l’accordo della Cop21 di Parigi (due giorni fa, il capo di stato francese ha detto che l’accordo è “irreversibile”, invitando il presidente americano a rispettarlo). L’altro grande soggetto del dibattito di giovedì ha riguardato l’Europa, e non solo in reazione all’elezione di Trump. I tre favoriti alla vittoria finale, Juppé, Sarkozy e Fillon, si sono detti favorevoli a un rafforzamento delle frontiere esterne dell’Unione europea per gestire la crisi migratoria e combattere il terrorismo, ma soprattutto all’instaurazione di un governo europeo, attraverso un’armonizzazione fiscale e sociale. Soltanto Le Maire ha parlato di un referendum per la stesura di un nuovo trattato da sottoporre al popolo francese all’inizio del prossimo quinquennato. Juppé, contrario, “per ora”, a un nuovo trattato Ue, ha affermato che prima bisogna ridare ai popoli la voglia di Europa.
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