Le destre dopo Trump
Non solo Le Pen. “Trump? Ha cose in comune con Roosevelt, vuole un’America al lavoro”, dice l’unico europeo ad averlo intervistato. Chiacchiere parigine con direttori e opinionisti dei media conservatori per studiare The Donald e i suoi effetti.
Dove sono finiti gli “esperti”? Se lo chiede il più impertinente dei magazine francesi, Causeur, ora che gli annunciatori della vittoria di Hillary Clinton sono scomparsi, ora che Donald Trump dice che non vuole nemmeno lo stipendio da presidente, ora che i fogli del politicamente corretto si vedono obbligati a stravolgere i loro piani editoriali, loro che erano già pronti con numeri speciali, dossier e analisi degli “esperti”, appunto, sull’America del vivre-ensemble, egualitarista, progressista, l’America-della-prima-donna-presidente. Per Elisabeth Lévy, direttrice di Causeur, il trionfo di Trump “è la vendetta del popolo, dell’occidentale medio, di provincia, trattato con disprezzo dalle élite metropolitane, contro il politically correct, contro la paura della sostituzione etnica, del ‘grand remplacement’, come lo ha definito l’intellettuale francese Renaud Camus”.
Secondo Lévy, i media che hanno demonizzato senza sosta il candidato repubblicano alla Casa Bianca hanno confuso informazione e rieducazione, a partire dal Monde e dal suo direttore, Jérôme Fenoglio, che assieme ai suoi colleghi ha continuato a guardare il “plouc occidental” con sussiego, quasi con disgusto per i suoi comportamenti deplorevoli, a definire quel popolo che gridava “Make America Great Again” senza l’abito cool da aperitivo newyorchese come un “branco di miserabili”, per riprendere le parole della Clinton. “Il voto a Trump è uno sberleffo verso chi aveva la presunzione di sapere tutto, a cominciare dai giornalisti. Questi ultimi e i moralisti da salotto sono almeno in parte responsabili del disastro di cui si dispiacciono. Tuttavia, invece di fare una salutare autocritica e di chiedersi perché non capiscono nulla delle società in cui vivono, in questi giorni sono ancora più isterici e raddoppiano le rimostranze contro gli elettori di Trump”, ha scritto Lévy nel suo ultimo editoriale.
Mercoledì 9 novembre, il giorno in cui è ufficialmente iniziata l’era Trump, mentre l’americano Daily News definiva la futura White House la “casa degli orrori”, in Francia Libération sfornava un numero speciale, di sedici pagine, dai toni altrettanto catastrofisti: “Trumpocalypse”, con il faccione minaccioso del neopresidente americano in bianco e nero. Il quotidiano della gauche giacobina, tra i giornali francesi, ha condotto la più isterica delle campagne mediatiche contro Trump, moltiplicando gli editoriali allarmati e le articolesse sul “progetto di odio” del presidente americano, alla stregua di quanto fa quotidianamente con Marine Le Pen, leader del Front national: preferisce demonizzarla invece di comprendere le ragioni suo successo.
E anche in questi giorni, mentre alcuni giornali fanno mea culpa o quantomeno cercano di correggere le analisi dei loro “esperti d’America”, che con toni apodittici ci hanno raccontato per un anno la futura vittoria di Hillary, Libé continua il battage. Offrendo le sue pagine centrali a quei “democratici” che protestano davanti alla Trump Tower perché non accettano la vittoria democratica di Trump, a quella “résistence” – e come potevano chiamarla se non “résistence” – che “comincia” ed è già “inedita per la storia americana”, secondo le parole del quotidiano parigino. Per Elisabeth Lévy bisognerà comunque fare attenzione al presidente americano, perché è un personaggio “imprevedibile”: “E’ necessario capire fino a dove sposterà il cursore delle provocazioni, perché sulle questioni nucleari ha detto molte sciocchezze.
Tuttavia, va ricordato che non sarà da solo al comando, avrà dei consiglieri e degli esperti che tempereranno la sua megalomania e le sue esagerazioni. Come dicono gli svizzeri, ci può soltanto ‘décevoir en bien’, sorprendere in positivo. Barack Obama, quando è arrivato alla Casa Bianca, è stato accolto come il Messia che non poteva deludere, e invece è anche per colpa sua che Hillary Clinton ha perso. Trump potrebbe essere una piacevole sorpresa, e Marine Le Pen, in Francia, potrebbe approfittare di questa situazione nel 2017”.
André Bercoff, editorialista principe di Valeurs Actuelles, è stato l’unico giornalista europeo a intervistare Donald Trump durante la sua campagna presidenziale. Lo ha incontrato nella sua Tower, a New York, e da quel faccia a faccia di più di due ore, travolgente e scorrettissimo, è nato un libro appena pubblicato dalle edizioni First: “Donald Trump. Les raisons d’une colère”. “Trump è un pragmatico, non un ideologo, dice Bercoff al Foglio. “In questi mesi di campagna è stato comparato a Hitler dalla stampa liberal, ma questo è puro delirio. Trump è un businessman, un negoziatore, ha passato quarant’anni della sua vita a fare trattative e non è un caso che il suo bestseller sia ‘The Art of The Deal’”, spiega Bercoff. “Il presidente americano avvierà subito le grandi opere, aeroporti, ferrovie, ponti, autostrade che daranno lavoro a milioni di persone. Bisogna rileggere il programma di Franklin Delano Roosevelt per capire chi è Trump. Il controllo di Wall Street, la separazione tra banche d’affari e banche commerciali, zero immigrazione sono punti che il neoeletto presidente americano ha in comune con Roosevelt. Trump vuole un’America al lavoro”.
Marion Marechal Le Pen parla ai giornalisti dopo la vittoria di Trump (foto LaPresse)
Bercoff non vede per ora un “Trump europeo”. Ma sottolinea come sia Marine Le Pen sia Nicolas Sarkozy (l’ex presidente sta rimontando nella corsa delle primarie dei Républicains del 20 novembre rispetto ad Alain Juppé, anche se lo scandalo sui fondi dell’ex rais libico Gheddafi sta crescendo sempre più) tenteranno di “trarre vantaggio dall’’effetto Trump’, portando avanti un discorso di popolo contro le élite, di paese profondo contro l’establishement”. “Oggi l’America si è riavvicinata all’Europa, perché anche nel nostro continente c’è una classe media in crisi dal punto di vista economico e identitario, che si sente in pericolo e prova un forte risentimento nei confronti delle élite”, dice Bercoff. La comparazione tra Marine Le Pen e Donald Trump non è però appropriata, secondo l’editorialista di Valeurs Actuelles, perché “ il marchio Front national è la famiglia Le Pen tutta, da Jean-Marie Le Pen, a Marine Le Pen, passando per la nipotina Marion Maréchal, mentre il marchio Trump appartiene soltanto a lui medesimo. Il presidente degli Stati Uniti, a differenza di Marine Le Pen, non ha un passato che pesa”.
E’ un “uragano”, ha scritto il Figaro in prima pagina nel day-after, “è la vendetta del reale”, ha affermato il filosofo Pascal Bruckner, “non è la fine del mondo, è la fine di un mondo”, ha sentenziato Marine Le Pen. Certamente la vittoria di Donald Trump alle elezioni americane ha rappresentato uno choc senza precedenti per i giornali della gauche, perché per la prima volta appare possibile un trionfo della leader del Front national alle presidenziali della prossima primavera. Ma anche per il direttore del Point, Etienne Gernelle, non è un’ottima notizia la vittoria del candidato repubblicano. “Durante la sua campagna presidenziale, ciò che ha detto sui latini, sulle donne e sul protezionismo è inquietante”, dice al Foglio Gernelle. Da direttore del settimanale di riferimento della destra liberale francese, ciò che lo preoccupa maggiormente sono le sparate protezioniste, tra cui la volontà di tassare al 45 per cento i prodotti cinesi, che sta già facendo innervosire Pechino.
“Non credo lo farà”, dice Gernelle, prima di aggiungere: “Credo invece che il Ttip (il Trattato di libero scambio tra Europa e Stati Uniti, ndr) sarà sotterrato. Trump è molto più protezionista rispetto al suo predecessore Obama”. Tuttavia, “potremmo anche essere sorpresi in positivo da Trump, nulla è da escludere. La distanza tra ciò che ha annunciato durante la campagna presidenziale e ciò che sta dicendo in questi giorni durante i suoi primi discorsi da presidente è molto grande. La particolarità di questo personaggio è che sappiamo poco o nulla di quello che farà, è una novità nel panorama politico mondiale. Non è né un salvatore, né un dittatore, come scrivono rispettivamente i pro Trump e i suoi detrattori. E’ un personaggio complesso, imprevedibile, che può essere capace di tutto, nel bene e nel male”, dice Gernelle.
Secondo il direttore del Point, che la scorsa settimana ha messo il ciuffo di Trump in copertina sotto il titolo “L’uomo più potente del mondo”, il suo arrivo alla Casa Bianca non farà la fortuna di Marine Le Pen, come molti suoi colleghi sostengono nei loro editoriali: la comparazione tra i due non regge, anzitutto perché l’elettorato del presidente americano e l’elettorato della leader frontista sono differenti. “Chi ha votato Trump viene soprattutto dalla classe media, mentre l’elettorato di riferimento di Marine Le Pen sono le classi popolari, abbandonate dalla gauche”. “Il parallelo con la Francia periferica (“La France périphérique” è un saggio bestseller di Christophe Guilluy, geografo francese, che racconta l’abbandono delle classi popolari, degli sconfitti della globalizzazione, da parte delle élite e della classe dirigente di sinistra e di destra, ripudiate a favore del Front national, ndr) non è giusto – spiega Gernelle al Foglio – Ciò che constato, invece, è che gli elettori di Trump se ne sono fregati del fact-checking dei giornali americani, degli allarmismi su Trump, delle analisi apocalittiche degli esperti, e anche in Francia, all’orizzonte 2017, potrebbe succedere la stessa cosa”.
Lo scorso maggio, Eléments, la rivista delle Nouvelle droite francese, dedicava un reportage allo “spettinato candidato anti-establishment”, con un articolo dove James Littel, corrispondente da New York, analizzava il fenomeno Trump plebiscitato dalla working class bianca, ma apprezzato anche da una parte degli ispanici e dagli afroamericani. Un’analisi che allora spiazzò tutti e fu accusata di veicolare pericolose teorie, ma che oggi appare illuminante. “In questi mesi, la maggior parte della stampa si è soffermata soltanto sulle frasi choc e sulle provocazioni di Trump, senza andare in profondità, senza capire cosa stava succedendo realmente in America”, dice al Foglio Pascal Eysseric, intellettuale e capo della redazione di Eléments. “Non è stato fatto alcun lavoro di reportage da parte dei giornalisti dei media cosiddetti ‘di riferimento’, è stato dato spazio unicamente alle cifre e ai sondaggi, che poi si sono rivelati un fallimento. Per registrare la temperatura dell’America profonda, bisognava andare ‘sur le terrain’. Abbiamo assistito a un fenomeno che ha stravolto un intero sistema, a un candidato che ha ripreso il linguaggio dei reality show, di una certa cultura americana, ed è riuscito a farsi eleggere. Davanti a questo fenomeno, i media europei si sono fermati all’apparenza, non sono andati a vedere cosa stava accadendo nelle zone rurali e periferiche americane, si sono rifiutati di andare a incontrare questo pubblico americano che ha votato Trump. Perché la maggioranza degli americani ha scelto il candidato repubblicano come portabandiera delle proprie rivendicazioni? In pochissimi se lo sono chiesti, perché hanno preferito demonizzarlo”, spiega.
Secondo Eysseric, “Trump è un nuovo uomo politico, dal quale è difficile attendersi qualcosa e sul quale dunque è impossibile fare previsioni. Nessuno può dire in che senso andrà la sua presidenza e quante sorprese ci riserverà. La nomina del pragmatico presidente del Partito repubblicano, Reince Priebus, a capo del suo staff, per esempio, è già una sorpresa”. L’elezione di Trump, conclude Eysseric, “è un’elezione che viene da lontano, da quando il Partito democratico americano guidato da Bill Clinton, negli anni Novanta, ha dimenticato le rivendicazioni sociali della working class bianca, lasciando orfano questo elettorato, e sostituendolo con le minoranze. Anche in Francia, quell’elettorato popolare che si sentiva difeso dalla gauche ora vota Marine Le Pen. La principale conseguenza di questa elezione è l’implosione del sistema destra-sinistra. E’ la fine di un’illusione e l’inizio di qualcos’altro di cui non conosciamo ancora i contorni”.
l'editoriale dell'elefantino
C'è speranza in America se anche i conservatori vanno contro Trump
tra debito e crescita