Obama consegna la medaglia al cantante Bruce Springsteen (foto LaPresse)

Le medaglie presidenziali della libertà, il parterre della retorica pop di Obama

Manuel Peruzzo

Reagan è partito da Hollywood ed è approdato a Washington, Barack ha fatto il percorso inverso.

“Tutti i presenti su questo palco mi hanno toccato profondamente” è stato il messaggio di Obama ai 21 premiati con la medaglia presidenziale della libertà, una decorazione conferita dal presidente degli Stati Uniti a tutti coloro che si sono distinti per gli interessi nazionali, la pace nel mondo e la cultura. Nata per onorare i servizi civili sotto la presidenza Truman si è trasformata con Kennedy in una specie di contro-Nobel, una di quelle nobili occasioni retoriche a cui neppure Bob Dylan ha saputo rinunciare.

Ronald Reagan è partito da Hollywood ed è approdato a Washington, Barack Obama ha fatto il percorso inverso. Non nel senso che girerà un film con Quentin Tarantino o diventerà il primo James Bond Nero, anche se tutto è possibile, ma per il successo con cui ha reso pop la percezione del ruolo presidenziale (non senza imbarazzanti ripercussioni internazionali dovute a chi si sente in obbligo di imitarlo). Il suo talento è naturale: ha la coolness nel sangue.

 

“Queste sono le persone che mi hanno aiutato a essere chi sono oggi e a pensare alla mia presidenza”, ha detto rivolto a Diana Ross, Bruce Springsteen, Tom Hanks, Ellen DeGeneres, tra commozione e umorismo. Se c’è una cosa che appare sensazionale non è solo che Obama col suo senso dello spettacolo, i tempi e la presenza sembra un loro pari, ma è il modo in cui ci appare autentico persino mentre pronuncia frasi come “queste persone contribuiscono a rendere l’America grande, non per via delle nostre differenze ma perché in queste differenze troviamo qualcosa in comune da condividere”. A parte l’evidente stoccata a Trump, chi altri sopravvivrebbe a una retorica da latte alle ginocchia senza sembrare soporifero?

Tra i premiati c’era l’ex campione di basket Kareem Abdul-Jabbar, che alla scorsa convention democratica si era presentato ironico come Michael Jordan perché “so che Donald Trump non saprebbe distinguerci”. Obama li distingue e li apprezza entrambi, infatti ha premiato anche Jordan.

Gli americani stanno bruciando ogni tappa. In una sola settimana sono passati dalla misoginia al conflitto d’interessi di Donald Trump, e siamo quasi all’editto bulgaro quando Trump twitta che il Saturday Night live non è bipartisan, fa ridere a senso unico, non è equo. Obama gli ha risposto indirettamente premiando Lorne Michaels, la mente dello show. Quando verrà il turno di Trump, probabilmente la medaglia verrà assegnata a Hulk Hogan e alla General Motors. Speriamo almeno in quel libertario fuori classe di Clint Eastwood.

È curioso che tra tutte le categorie premiate – i filantropici (Bill e Melinda Gates), i registi (Robert Redford e Cicely Tyson), gli architetti (Frank Gehry) – ne manchi una delle persone più importanti per Barack Obama, ovvero i fotografi. Categoria di colui che ce lo ha consegnato nella versione più congeniale, vale a dire la fotogenia: Pete Souza. Lo stesso fotografo dell’amministrazione Reagan.

Barack Obama in una delle foto di Pete Souza (foto LaPresse)

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