Il berlusconeggiante eletto
Siamo obbligati a sperare che il berlusconeggiare in peggio di Trump sia la fine di una campagna di inaudita efficacia e forza trascinante. Una guida per capire il trionfo del despota americano sull’Opinion Maker collettivo
Trump non la finisce di berlusconeggiare, anche da presidente eletto. Fanno notizia nell’ordine: le sue magioni private, puro kitsch Americano, molto maestose e dorate, colonnati bianchi come la Casa Bianca, che però tenta, poverina, una certa eleganza coloniale; i suoi incontri o scambi telefonici con businessmen indiani o presidenti argentini, e la assoluta strafottenza con cui mischia affari privati e ruolo pubblico, casinò e roulette a Mumbai, grandi complessi alberghieri, golf e altre imprese billionaire qui e là in decine di paesi del mondo; fa notizia il suo disinteresse per la questione del blind trust – oh che ritorno di fiamma per noi italiani del ’94! (“darò il mio business in mano a Ivanka, non so se Ivanka è un blind trust”, e se la ride); fa notizia la sua imprevedibilità nei rapporti con la stampa, non tiene una conferenza stampa paritaria, domande e risposte, dallo scorso mese di luglio, e berlusconeggia mandando in onda video con il messaggio incorporato e univoco, unidirezionale, semina i reporter, li stuzzica, li ama e li odia, li vuole assoggettare a un nuovo protocollo; di lui già si sospetta che sarà un re solitario e pigro con una corte, non un team of rivals, non uno staff fondato su altro che sulla lealtà personale; lascia moglie e figli a New York nella Trump Tower, si prepara a una vita d’ufficio e di dossier che potrebbe affrontare con una certa regale indolenza e in un isolamento narcisistico dalla realtà in una casa non sua, non un castello di Arcore, non un Palazzo Grazioli, e per di più a Washington, dove lo ha votato il 4 per cento della popolazione e dove l’unica consolazione è il via vai di businessmen e potenti in attesa di favori nell’albergone da lui costruito, un’altra Trump Tower, a pochi passi dalla residenza presidenziale di Pennsylvania Avenue; pare voglia nominare l’arcinemico di establishment Mitt Romney, cioè Renato Ruggiero, segretario di stato, e chissà quanto potrebbe durare (Ruggiero fu licenziato dopo meno di un anno); fa notizia il suo essere totalmente digiuno di arte dello stato, ma anche il suo fottersene, e presto gli americani liberal capiranno quanto sia difficile mettersi, come si sono messi, in una logica ostruzionistica e di impeachment fondata sulla denuncia del conflitto di interessi potenziale, quanto sia complicato rendere impopolare il common man venuto dal reality show, che si fa vivo su Twitter per distrarre il pubblico dalle cose serie di una presidenza in transizione, ed è totalmente e radicalmente nuovo nei modi e nel linguaggio.
Fatemi la grazia, cari lettori, di non obiettare che Trump e il Cav. sono assai diversi, nel momento in cui apparentemente sono identici. Lo sappiamo. L’italiano è mite, solare, la televisione l’ha prodotta ma non ne è un prodotto, ha dato l’assalto al paese costituito, distrutto dall’autoritarismo persecutorio dei giudici antipartito, per cambiarlo e dargli l’alternanza e il maggioritario e un nuovo clima libertario e libertino, restando fedele nel suo modo divino a Craxi il grande amico e ai democristiani suoi grandi elettori dall’oltretomba; questo simpatico e pericoloso despota elettorale Americano, che ha vinto per una manciata di voti nel collegio elettorale degli stati ma ha perso per un milione e mezzo di voti nel suffragio popolare, questo vero talento istintivo che ha capito il tempo giusto per sferrare il colpo a un avversario indebolito dalla stanca ripetizione della filastrocca della diversità multiculti, questo formidabile fenomeno di comunicazione e iattanza ha un tratto sociopatico, una propensione al deal controbilanciata dalla tendenza alla vendetta (un capitolo del suo primo libro si intitola “la vendetta”) e una infinita capacità di nascondere il risentimento interiore di un uomo deriso che vuole adesso ridere per ultimo. Il Cav. ha ingombrato con astuzia e felicità creative le menti degli italiani, ingrossando il suo gruppone isolato e spesso impotente di una schiatta di ex comunisti ex socialisti ex democristiani, la tradizione politica massima e tante belle ragazze, e il cretino liberal, il Cretino Collettivo d’Italia e d’America, per vent’anni non ha capito di che cosa si trattasse in verità, e faceva girotondi.
Ora noi berlusconiani ci prendiamo la nostra, di vendetta, e assistiamo al trionfo sull’Opinion Maker collettivo di un tipo che sa governare l’intimidazione, l’insulto, altro che il “mi consenta”, e sa dirigerla contro il nemico con effetti di stordimento e di violenza per niente miti, con l’aiuto di una famiglia di vecchi arnesi che ha liquidato il meglio della tradizione conservatrice reaganiana. Siamo obbligati a sperare che il suo berlusconeggiare in peggio, molto in peggio, sia solo la fine di una campagna di inaudita efficacia e forza trascinante, non l’inizio di una presidenza che, se non cambiasse registro, sarebbe catastrofica per molti motivi non triviali e incapperebbe, quali che siano i suoi parziali eventuali successi, i deal famosi, in guasti paurosi di un sistema istituzionale affaticato, delegittimato dalle sue stesse retoriche sceme e dalla sua passività nella visione dell’America nel mondo, ma pur sempre la più antica democrazia che si conosca fondata su una Costituzione scritta, che vale più di un post su Facebook, di un fake propalato a milioni di persone, di una calunnia, di un disprezzo personale esibito come arma di lotta politica. Comunque vedere quest’uomo che si diverte e scherza con il fuoco è divertente, per chi ha vissuto l’analogia vera e impossibile con Berlusconi, ma fino a un certo punto.