Nell'età del post liberalismo neppure Merkel può salvare l'Ue, dice Kaminski
Due chiacchiere con il direttore di Politico Europe, su Trump, Renzi e il ménage familiare degli europei
Milano. Matthew Kaminski, direttore di Politico Europe, non sa dire se e quanto il presidente Donald Trump sarà diverso dal candidato Donald Trump – “scusa, so che iniziare con un ‘non lo so’ non è il massimo, ma davvero non saprei dire: è un uomo che cambia opinione a seconda del suo interlocutore, l’hai visto al New York Times, no?” – ma di una cosa è certo: “La Brexit non era un cigno nero, Trump non è un cigno nero”. Kaminski, che è nato in Polonia, ha studiato in America e in Francia, ha lavorato per il Financial Times, l’Economist e il Wall Street Journal spesso con base in Europa, recupera la teoria resa celebre da Nassim Nicholas Taleb secondo cui alcuni eventi di forte impatto creano grande sorpresa e possono essere compresi solo a posteriori: i cigni neri, per loro stessa definizione, non possono essere tanti, altrimenti perdono la loro unicità, e la sorpresa non è giustificata. “La Brexit non era un caso unico, e la vittoria di Trump negli Stati Uniti ha per questo un impatto psicologico forte sugli europei – dice Kaminski – Tutto è possibile ora”, anche che Angela Merkel non sia un argine contro alcunché.
Matthew Kaminski non esclude nulla, dice che le probabilità che Matteo Renzi perda il referendum in Italia “sembrano alte” e che se davvero il No fosse vincitore, “l’M5s può andare al potere, e l’Italia può uscire dalla zona euro”. Che catastrofismo, non staremo esagerando? In fondo la cancelliera tedesca Merkel ha affrettato la decisione di candidarsi per il quarto mandato proprio per dare un segnale costruttivo, e la riscossa di François Fillon nelle primarie della destra francese fa pensare – rapporto con la Russia a parte: su quello, l’Europa sta consegnando le chiavi di casa a Vladimir Putin – a una minima possibilità di tenuta liberale.
“La Merkel salvatrice del progetto europeo? – chiede Kaminski quasi sorpreso, anche se sorride – Siamo ancora in un’èra in cui l’hard power conta, e la Germania non è una potenza militare. Non è nemmeno stata in grado di tenere insieme l’Europa sulla crisi migratoria, non è sufficiente tutta la colla tedesca per far sopravvivere il progetto europeo”. Certo, concede Kaminski, la Germania può fare da magnete per alcuni paesi, “ma ti ricordi quando pensavamo che non saremmo sopravvissuti per la Grecia? Ora è tutta una exit”, il progetto europeo come lo abbiamo vissuto “non appartiene più a questa fase del mondo, era l’Europa dei miei nonni e dei miei genitori, i primi che avevano vissuto la guerra e i secondi che avevano vissuto l’Unione sovietica, ma ora che entriamo nell’età del post liberalismo, del post atlantismo, dobbiamo ripensare tutto”.
In questo senso, Kaminski dice che oltre alle conseguenze psicologiche della vittoria in America di Trump – “tutto è diventato possibile”, ripete – ci sono dei cambiamenti reali, che avranno un impatto decisivo sull’Europa. Propone una metafora familiare che conosce bene, dice, perché ha figli adolescenti e sa di cosa parla: “Gli europei si sono sempre comportati come i nostri figli, che vivono in casa lamentandosi di qualsiasi regola ma non pagano le bollette, non pagano l’affitto, spesso non sparecchiano neppure. Finora è andata bene così, ma adesso gli americani, che sono i genitori, hanno deciso di cambiare vita, se ne vanno a vivere in Florida per i fatti loro, e dicono ai figli: godetevi la casa, e mantenetela, siete da soli”.
E’ chiaro che gli europei siano in panico: “Barack Obama ha iniziato una politica di disimpegno nei confronti dell’Europa e del medio oriente, è stato critico con gli europei, ma ha mantenuto l’approccio politico tipicamente americano, l’approccio ‘selfless’, altruista: ora Trump dice ‘America first’, basta con la generosità, ognuno faccia la sua parte, ma gli europei non hanno gli strumenti per stare da soli: per questo dico che nemmeno la Germania, che pure ha un ruolo di leadership riconosciuto in Europa, può fare da sola, perché pure lei senza l’America è molto più fragile”.
Che catastrofismo, accidenti, ma Kaminski ribatte che non si tratta di essere più o meno ottimisti, ma di comprendere che il progetto europeo, grandioso e unico “perché oggi l’occidente sta meglio, è prospero e in pace e nessuno può sostenere il contrario”, è destinato a trasformarsi, “perché ci sarà meno America a fare da garante, perché al suo posto ci sarà più nazionalismo: torneremo a una dimensione più statale e più locale, perché è in questo modo che l’insofferenza nei confronti della globalizzazione si potrà in qualche modo gestire”. Ma c’è un leader cui affidarsi per far sì che almeno il processo di disruption sia controllato? “No!”, dice Kaminski, ognuno cerca di fare il suo nel proprio paese, con consapevolezza, e ora tocca all’Italia.