Più frustate per tutti: l'Arabia Saudita al Consiglio dei diritti umani dell'Onu
Donne, cristiani, il blogger Badawi, Charlie Hebdo. Ne parliamo con Hillel Neuer, direttore di UN Watch, l’organizzazione che da anni monitora il Palazzo di vetro, svelandone il grottesco
Paragonato al Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite, che sembra una madrassa pachistana sulle rive del lago di Ginevra, persino il Parlamento europeo, che ha insignito il blogger saudita Raif Badawi del premio alla memoria di Sacharov, svetta come baluardo della libertà di espressione. “Mio marito langue in una prigione saudita dal 17 giugno 2012, i nostri figli non vedono il padre da cinque anni e Raif ha ricevuto le primi cinquanta frustate: il Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite si unirà al Parlamento europeo per chiederne il rilascio?”. E’ a dir poco caduto nel vuoto l’appello che qualche giorno fa Ensaf Haidar, moglie di Badawi frustato e imprigionato in Arabia Saudita per le sue idee liberali, ha rivolto all’Onu durante una conferenza organizzata dal Centro Raoul Wallenberg, dal nome del giusto che salvò gli ebrei dalla Shoah.
Dopo poche ore, l’Onu rieleggeva infatti i sauditi, i carnefici del marito, nel Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite, nonostante una campagna di mobilitazione che in Inghilterra, decisiva nel favorire la rielezione dei custodi dei luoghi sacri dell’islam, aveva raccolto 50 mila firme. Il rappresentante saudita, Abdulaziz Alwasil, ha già preso posto nell’elegante Palazzo delle nazioni di Ginevra e avrà voce in capitolo su tre grandi questioni: le donne, la libertà religiosa e il sistema giudiziario. Una bella responsabilità per l’Arabia Saudita, che frusta poeti e blogger, i cui sceicchi non hanno altra preoccupazione che intasare di concubine i loro sontuosi palazzi e di lapidarle quando diventano “adultere”, che decapita religiosi sciiti, che vieta la croce (nella classifica di Open Doors l’Arabia Saudita è al secondo posto, dopo il gulag nordcoreano, nella persecuzione anticristiana) e le cui scuole usano un curriculum che Nina Shea, a capo del Center for Religious Freedom, bolla come “simil nazista”.
La moglie di Badawi ha commentato l’elezione dei sauditi a Ginevra come “la luce verde per frustare ancora mio marito”. Ne parliamo con Hillel Neuer, indefesso direttore di UN Watch, l’organizzazione che da anni monitora il Palazzo di vetro, svelandone il grottesco: “I sauditi sono stati eletti con la maggioranza automatica, ma hanno avuto un importante sostegno dell’Inghilterra, in nome di un cinismo politico basato su interessi economici, petrolio, armi. Anche gli americani hanno avuto un ruolo importante: ‘We welcome them’, ci hanno risposto quando abbiamo chiesto loro dei sauditi, che stanno sequestrando l’agenda dei diritti umani”. Un esempio concreto? La risoluzione numero 62/154 dal titolo “Combattere la diffamazione delle religioni”. “Da dieci anni, l’Onu approva risoluzioni in cui la critica dell’islam è paragonata a una violazione dei diritti umani”, ci dice Neuer. “E’ un messaggio chiaro a tutti i dissidenti musulmani: perderete i vostri diritti umani se farete della ‘islamofobia’. E’ anche il motivo per cui l’Amministrazione Obama per otto anni si è rifiutata di nominare l’islam, persino dopo la strage di San Bernardino.
I sauditi hanno avuto un ruolo decisivo in queste risoluzioni, con cui hanno messo pressione anche al mondo accademico e giornalistico. Con l’elezione dei sauditi, anche la sorte di Raif Badawi è segnata: di lui non si parlerà mai al Consiglio dei diritti umani di Ginevra, che infatti non ne ha mai parlato”. Conclude Neuer: “Capisco la realpolitik, ma non può portare al tradimento della cultura occidentale. Puoi allearti con Stalin per sconfiggere Hitler, ma non puoi dire che Stalin era un campione dei diritti umani”. D’altronde, anche nelle strade d’Europa è già arrivata la “muttawa”, le famigerate guardie religiose saudite che vigilano sul rispetto del Corano. Chiederlo ai redattori di Charlie Hebdo.