L'Egitto va quasi in guerra al fianco di Assad
Oggi il collante fra Sisi e presidente siriano è il ritorno della Russia in medio oriente.
Roma. Ieri “una fonte militare” ha smentito al giornale egiziano al Shoroukh uno scoop del giornale libanese as Safir del giorno prima – l’arrivo di diciotto piloti d’elicottero egiziani in una base di Hama, in Siria, per combattere dalla parte del presidente siriano Bashar el Assad. C’è anche un’ipotesi di riserva: gli elicotteristi sarebbero laggiù per accompagnare i generali egiziani che ispezionano le linee del fronte assieme agli ufficiali siriani e quindi non hanno un ruolo di combattimento, ma soltanto – come altri prima di loro – di “consiglieri militari”. L’Egitto dunque non si schiera ancora nella guerra civile siriana, ma la falsa notizia potrebbe essere un test, una mera anticipazione, come accadde a metà agosto 2015, quando alcune indiscrezioni fatte filtrare sui media annunciarono l’arrivo in un aeroporto militare di Damasco di sei sofisticati intercettori russi Mig-31. Non era vero, ma meno di due settimane più tardi la Russia inviò sul serio un contingente militare a Latakia, con aerei ed elicotteri, quando ormai la mossa era stata discussa sui media ed era diventata a suo modo familiare.
Anche in questo caso, la notizia diventa sempre più plausibile giorno dopo giorno. Il 16 ottobre il direttore dell’intelligence siriana, Ali Mamlouk, ha visitato il Cairo e ha incontrato il capo dell’intelligence egiziana e altri alti ufficiali. Mamlouk è il consigliere più fidato del presidente Bashar el Assad e in pratica ne fa le veci nei negoziati discreti all’estero, gli stessi a cui Assad non può presenziare (in questi anni di crisi cominciati nel 2011 è uscito soltanto una volta dal paese, per andare a Mosca). Il presidente egiziano, Abdel Fattah al Sisi, si avvicina a Damasco e si affranca dai suoi sponsor nel Golfo, soprattutto l’Arabia Saudita, che negli anni scorsi ha aiutato l’Egitto con miliardi di investimenti e di prestiti. Lunedì al Sisi ha detto alla tv portoghese Rtp che lui sostiene “gli eserciti nazionali in Iraq, Libia e Siria”. Mentre nel primo caso, quello dell’Iraq, è scontato, negli altri due c’è un preciso significato politico: in Libia vuol dire che l’Egitto appoggia il generale Khalifa Haftar, l’uomo forte di Bengasi, e che in Siria è alleato del governo di Assad.
Del resto, la crisi che ha portato al potere al Sisi è nata quando nel gennaio 2013 i generali egiziani assistettero sbigottiti al Cairo a un discorso del presidente eletto dai Fratelli musulmani, Mohamed Morsi, che incitava al jihad contro il regime di Damasco. Da lì, una serie di eventi ha portato all’ascesa di Sisi nel luglio 2013: poche settimane dopo, Egitto e Siria ripresero le relazioni diplomatiche e riaprirono le rispettive ambasciate, chiuse da due anni.
Si può parlare di un clima di fratellanza fra esercito siriano ed esercito egiziano sin dal breve esperimento della Repubblica araba unita, quando i due paesi tentarono di fondersi in uno stato solo tra il 1958 e il 1961 in nome del panarabismo. Oggi il collante fra Sisi e Assad è un altro, è il ritorno della Russia in medio oriente. Il presidente russo, Vladimir Putin, da tempo sfoggia familiarità con Sisi, approva contratti militari con l’Egitto e di sicuro appoggia le mosse in Libia prima e ora in Siria. E’ assai improbabile che il Cairo, che sta già combattendo una guerriglia spossante nella penisola del Sinai contro lo Stato islamico, mandi truppe di terra a colmare i vuoti di quello che un tempo è stato l’esercito siriano, ma nel 2017 potrebbe inviare in Siria forze speciali e appoggio aereo. Diverrebbe di fatto alleato sul campo dell’Iran, e questo spiega il dispetto dell’Arabia Saudita, che dai primi di novembre ha fermato a tempo indefinito le esportazioni di petrolio verso l’Egitto.