Tra Valls e Hollande, ci sono un terzo e un quarto che godono
Il premier e il presidente francesi pensano a come posizionarsi. Ma intanto Montebourg a sinistra e Macron al centro s’attrezzano
Milano. Il centro della politica europea è orfano, bisogna adottarlo, riconquistarlo, occuparlo. Tony Blair, ex premier laburista britannico, ha lanciato un appello per un movimento che dia un rifugio ai progressisti rimasti senza casa, e piazza il rifugio in “un centro muscolare” da ricostruire. Blair pensa alla Brexit e all’Europa, e cerca di volare alto, ma c’è chi in Francia deve stare attaccato al terreno e capire come e dove collocarsi, e non c’è nemmeno molto tempo, perché a fine aprile si vota il prossimo presidente della Repubblica. François Fillon ha vinto le primarie della destra, con un programma e un’ispirazione conservatrice e “di destra”, come si dice, ma con una moderazione che per propria natura punta all’elettorato del centro. Ma la sfida ora è tutta a sinistra, perché ancora un candidato ufficiale – centrista o radicale – non c’è, e anzi si rischia un affollamento non propizio.
Al momento la sfida è tutta tra François Hollande, il presidente, e Manuel Valls, il primo ministro, che fu scelto da Hollande dopo un inizio zoppicante con Jean-Marc Ayrault, per imprimere quella svolta socialdemocratica a cui il presidente aspira da sempre ma che non ha mai afferrato davvero. Hollande dovrebbe far sapere a dicembre che intenzioni ha, se vuole candidarsi per un secondo mandato o no; Valls ha detto al Journal du Dimanche che sta prendendo una decisione “en conscience”, e che nel farlo “c’è una responsabilità storica” per la sinistra. Al momento i sondaggi, malefici ma pur sempre l’unico indice cui appigliarsi, dicono che la sfida alle presidenziali dell’aprile prossimo è tutta a destra, tra Fillon e Marine Le Pen, leader del Front national: non si registrano movimenti se a candidarsi sono Hollande o Valls.
I retroscena politici raccontano di tensioni ingestibili tra Hollande e Valls, ieri c’è stato un incontro a pranzo tra i due che pareva quello della rottura definitiva e che invece sarebbe stato soltanto “un confronto franco”, e nel pomeriggio il premier ha smentito le voci sulle sue imminenti dimissioni. L’entourage del capo dell’Eliseo fa sapere che una competizione diretta alle primarie con Valls “non è nemmeno immaginabile”, come ha detto Stéphane Le Foll, vicino a Hollande, aggiungendo che un’ipotesi del genere è avanzata soltanto da chi mette le “divisioni personali davanti all’interesse generale”. Le Foll faceva riferimento a quel che domenica – mentre la destra dei Républicains si univa con risultato plebiscitario attorno a Fillon – il presidente dell’Assemblea nazionale, Claude Bartolone, aveva detto a microfoni aperti: si sfidassero Hollande e Valls nel modo più esplicito possibile, e poi vediamo. I socialisti si sono spaventati: c’è della perversione nel desiderare una mattanza politica a questo livello sotto i riflettori, cerchiamo di organizzarci con ordine.
Ma l’ordine, dentro al partito, è mezzo perduto, e mentre Hollande e Valls ponderano le loro scelte, scrutandosi e meditando modalità preventive di omicidio politico, gli altri sì che si stanno posizionando. Nell’eterna lotta tra liberali e antiliberali, che da anni caratterizza le sinistre di tutto il mondo (ma in Francia la faccenda è spettacolare), il più scaltro al momento sembra Arnaud Montebourg, ex ministro dell’Economia, che ha dialogato a lungo con Hollande finché è stato al governo e che poi, una volta cacciato, è diventato il leader della sinistra antihollandiana – e da domenica ripete che Valls dovrebbe dimettersi, che non si può mettere in competizione con il presidente restando a Matignon. Non appena le primarie di destra si sono concluse ed è iniziata l’operazione “rassemblement” di Fillon, Montebourg ha utilizzato gli stessi termini di Fillon – uniamoci fin dalle primarie – per “evitare lo scenario nero dell’eliminazione della sinistra al primo turno”. La riunione che si augura Montebourg è già iniziata con una conta dettagliata all’Assemblea nazionale e si nutre di uno spettro molto ampio di consensi che va dall’amico Thomas Piketty, economista francese cantore della diseguaglianza, fino a tutti quelli che, in questi anni, hanno progressivamente perso fiducia nelle capacità di Hollande. Si tratta di un’alleanza in parte opportunistica ma con una connotazione ideologica forte: tutti i “dimenticati” che invocano la fine della globalizzazione possono sentirsi chiamati all’appello (è in parte lo stesso elettorato della Le Pen).
Dall’altra parte, c’è Emmanuel Macron, che di Montebourg prese il posto quando Hollande tentava di fare sul serio con il liberalismo, e che ora ha lasciato l’incarico da ministro dell’Economia per lanciare la sua candidatura da indipendente alle presidenziali con il movimento En Marche!. La distinzione è tecnica: Macron rappresenta una ferita dentro il Partito socialista che avrà ripercussioni forti sulle primarie che si terranno a gennaio. Liberali e antiliberali, siamo sempre lì. Ma Macron deve aver ascoltato l’appello blairiano e vuole costruire un centro muscolare con tutte le forze progressiste. Per questo ha fatto appello agli elettori di Alain Juppé, sconfitto alle primarie della destra da un candidato molto più conservatore di lui (Juppé piaceva molto a sinistra), e a quelli del centrista François Bayrou: molti hanno già annunciato su Facebook di essere pronti a mettersi “en marche”.
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