Sberleffo alla Storia
La sinistra fa la destra (Trump), la destra è di sinistra (Le Pen) e l’accozzaglia populista vota No
A parte il registro livornese per le condoglianze castriste, e non sarebbe male se qualcuno gli desse fuoco, in quella città di pazzia e sberleffo, la distinzione tra destra e sinistra, fatale argomento di infinite chiacchiere e canzonette, ora è radicalmente rovesciata di segno. Guardate a Trump, e guardate anche all’imminente scontro tra il gollista Fillon e la lepenista Le Pen. Vedrete, comunque la pensiate, che non ci si ritrova, e che la destra è la sinistra e la sinistra è la destra. Un concetto liberale, globalizzatore, riformista e di mercato – il superamento della divisione classista e postrivoluzionaria di destra e sinistra – sta diventando rapidamente una nozione illiberale, populista, e per soprammercato anche un po’ fascista (oops!). Trump è niente, un superbo castigo di Dio della demagogia e del business estremo e simpaticamente malandrino, ma certo si è costituito come un candidato-fenomeno della destra oltranzista anti establishment e come tale ha avuto successo.
Tuttavia, in combinazione con il sognatore Bernie Sanders, profeta del Cretino Collettivo leftist, ha spinto l’immagine del Partito democratico e della sua candidata verso l’orlo estremo dell’elitarismo, del sussiego liberal, cose che hanno perso ogni aura di sinistra e riformista sotto la sferza del nazionalismo e populismo neoproletario del riccone dei New York values fattosi repubblicano. Alla fine sono stati gli elettori della piccola middle class e del proletariato industriale e postindustriale della Rust Belt, la cintura del ferro arrugginito, l’America dei sindacati e dei lavoratori, a dare al superdestro la palma della vittoria di sinistra. Prendiamo il primo volo e trasferiamoci a Parigi, dove un presidente dolcemente impopolare, che porta cornetti caldi all’amante e niente al fidanzato elettore d’antan, lascia il passo, con ogni probabilità, allo scontro tra Fillon e la Le Pen. Fillon è un cattolico tradizionalista o come tale si presenta dopo cinque anni di onorato e composto servizio nella presidenza Sarkozy (un saluto alla buonanima ridens), uno che però cerca di pescare voti nella Francia identitaria stufa delle bellurie socialiste con una piattaforma in cui resta vivo il sogno di licenziare i funzionari pubblici eccedenti, nel paese dei funzionari pubblici supereccedenti, di ridurre le tasse alle imprese, di dare ai mercati la priorità sui trionfi improduttivi del welfare state.
La Le Pen, che quanto a identità e xenoterapia non ha molto da invidiare alla copia parodistica di una santa Giovanna d’Arco, punta alla vittoria su una piattaforma di sinistra socializzante, arieccoci con la furia antiestablishment, la demagogia contro le banche e i loro protettori di sinistra o comunque riformisti e mercatisti. L’elettore di sinistra secondo la vecchia divisione è dunque chiamato a scegliere tenendo conto del fatto che a rappresentare i suoi scioperi, le sue barricate, le sue nenie sarà la capa del Front National, estrema destra militante. Un bell’affare. Pensavamo e dicevamo che, se non la storia addirittura, con la fine del comunismo era arrivata al termine della notte la distinzione giacobina e poi marxista stalinista e castrista tra la sinistra che dà l’assalto al cielo e la destra in agguato. Mercato e diritti individuali avevano preso il posto ingombrato dalla retorica delle classi sociali in marcia. Niente da fare. A proposito, anche nell’imminente referendum italiano, a sentire un tenace difensore della sinistra contro la destra come Michele Serra, vincerà il No e con esso una squinternata accozzaglia di urlanti populisti di destra, non i benintenzionati costituzionalisti e révenant dell’oligarchia antropologicamente superiore a tutti gli altri. Un bell’affare pure questo.
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