La May vista dal suo consulente per il lavoro
“Il primo ministro difende il libero mercato ma cerca soluzioni alla richiesta che funzioni per tutti", dice Matthew Taylor
Milano. L’attenzione ai lavoratori e la ricerca di correttivi. Theresa May, premier inglese, sta portando avanti il suo esperimento social-conservatore discostandosi dal suo predecessore David Cameron e dalle politiche di rigore promosse dall’ex cancelliere George Osborne, e continuando a inciampare in indiscrezioni pericolose sulla Brexit (l’ultima: il memo pubblicato sui giornali britannici in cui si dice che il Regno Unito non aspira a rimanere nel mercato unico europeo). “Il nuovo premier sta cercando di passare da un governo superliberale a uno più tradizionalmente conservatore”, dice al Foglio Matthew Taylor, chief executive della Royal Society for the Encouragement of Arts, Manufactures and Commerce, organizzazione politicamente neutrale presieduta dalla principessa Anna che si occupa delle sfide sociali della modernità. Taylor, ex capo della Policy Unit dell’ex premier Tony Blair, ha dismesso i panni laburisti e da ottobre è al fianco dell’attuale premier conservatore May: gli è stata affidata una review sui lavoratori britannici con un focus sugli impieghi precari e stressanti.
“Il primo ministro difende il libero mercato ma cerca soluzioni alla richiesta che funzioni per tutti – dice Taylor – C’è la sensazione che la globalizzazione non abbia più il consenso di un tempo, in particolar modo presso la working class che dal 2000 non ha visto aumenti del tenore di vita e invece negli ultimi sei anni ha assistito al progressivo sfaldarsi del tessuto dei servizi pubblici”. L’impegno dichiarato della “figlia del vicario” è domare gli eccessi del capitalismo con nuove protezioni per i lavoratori autonomi e i contratti “zero-hours” talmente flessibili da non garantire un minimo di ore lavorative a settimana. Un impegno più volte ribadito per il quale il primo ministro è disposta anche a una politica “cross-dressing”, che cambi i suoi vestiti partitici in base alle necessità.
Il lavoro non è stato così centrale nel voto per la Brexit com’è stato invece nella vittoria di Donald Trump negli Stati Uniti, sostiene Taylor. “Questa è una delle ragioni per cui May non mette in discussione il liberalismo, a differenza dell’ispirazione protezionista del neopresidente americano”. Ma qualche problema c’è. Se l’attuale sistema del lavoro britannico funziona per “la maggior parte delle persone” i nuovi lavori e la flessibilità potrebbero richiedere “forme di protezioni migliori per alcuni”, dice Taylor, il cui lavoro si sta concentrando su temi come salario minimo, maternità e paternità, pensioni, malattia e ferie. L’attenzione della sua review è rivolta ai circa “5 milioni di britannici che temono per la sicurezza del lavoro, pensando alle bollette da pagare e al mutuo”, afferma Taylor. “Il 92 per cento delle persone considera la sicurezza del lavoro importante, ma in Gran Bretagna solo il 65 per cento si sente al sicuro mentre il 15 non si sente affatto sereno”. Senza dimenticare i circa 6 milioni di cittadini che non sono coperti dai diritti standard sul posto di lavoro, “cifre in continua crescita che dimostrano le sfide poste dai modelli di business in rapida evoluzione”.
Secondo Taylor “nel caos del Labour e nella crisi dei liberaldemocratici incapaci di risorgere dopo la sconfitta nelle elezioni generali dell’anno scorso, la minaccia più grande per May potrebbe arrivare dall’interno dei Tory con le fronde sulla Brexit. May sta cercando di ricollocare al centro i conservatori dando vita a un nuovo centro nella politica britannica, migliorando gli stipendi, la sicurezza e i diritti del lavoro della working class”. Nessuno resti escluso, eccolo lo “shift” del partito Tory di cui parla Taylor, o per dirla con il magazine conservatore Spectator: l’occasione per trattare la Brexit come un’opportunità per creare un nuovo partito dei lavoratori.