Così l'Italia mette in libertà uno dei predicatori più pericolosi del mondo
La Norvegia, dove è detenuto Mullah Krekar, annuncia che l'Italia non vuole più la sua estradizione. Rischia di concludersi con un nulla di fatto una vicenda giudiziaria complessa. Con l'ombra di una guerra tra procure
L'Italia rinuncia all'estradizione dalla Norvegia del predicatore iracheno che gettò le basi per lo Stato islamico ancora prima dell'invasione americana del 2003, anche se ne avrebbe diritto grazie all'indagine su una cellula terroristica basata a Merano, in Trentino. Mullah Krekar (sul passaporto Najmaddin Faraj Ahmad) ha già lasciato il carcere dove era detenuto in Norvegia, dove era stato arrestato nel 2015 per terrorismo. Ad annunciare il ripensamento italiano, dopo mesi di discussioni, indagini e verifiche, è stata la stessa procura norvegese che seguiva il caso. Una lettera spedita lo scorso 25 novembre dal ministero della Giustizia italiano ha comunicato che non sussistono più le condizioni per chiedere l'estradizione di Krekar, senza spiegare però le ragioni del ripensamento. Krekar, 59 anni, curdo iracheno, è considerato uno dei principali predicatori dello Stato islamico. Già leader di Ansar al Islam, è l'architetto di un altro gruppo terroristico, Rawti Shax, sospettato di pianificare attacchi terroristici con l'obiettivo di rovesciare l'attuale governo del Kurdistan iracheno e di sostituirlo con uno stato teocratico fondato sull'applicazione della svaria islamica. Nel 1991, dalle montagne del Kurdistan Krekar era fuggito in Norvegia passando per il Pakistan. Qui, accolto da rifugiato, aveva continuato le sue attività di proselitismo. Tanto spregiudicato da aver minacciato di morte persino Erna Solberg, primo ministro norvegese. Una volta scarcerato era stato arrestato nuovamente per aver lanciato una fatwa contro un curdo che aveva bruciato il Corano, invitando ogni vero credente a ucciderlo. Anche in questo caso fu rimesso in libertà in quanto le minacce furono interpretate dai giudici norvegesi piuttosto come opinioni personali. Oslo aveva tentato in ogni modo, negli ultimi anni, di estradare Krekar lontano dal proprio paese, per paura che le sue attività di proselitismo potessero portare danni ben maggiori di qualche sporadica minaccia.
L'opportunità è emersa nel 2010, quando la procura di Roma aveva avviato delle indagini su Rawti Shax, sospettata di essere una cellula terroristica operativa in Italia, con sede a Merano. Per gli inquirenti la cellula terroristica era in contatto con Krekar pronta a portare a "compimento atti di violenza anche sul suolo europeo o contro obiettivi occidentali, allo scopo di intimidire la popolazione o esercitare pressioni su poteri pubblici ed organizzazioni internazionali, nonché della partecipazione nei teatri dello jihad, gestendo a tale scopo campi di addestramento paramilitari".
Ma è proprio a questo punto che le indagini si complicano e rallentano. Nel 2014 il procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo, a capo del pool antiterrorismo, emana un'ordinanza di custodia cautelare per 17 persone sospettate di terrorismo islamico, componenti della cellula Rawti Shax. L'atto di esecuzione delle misure cautelari è firmato però solo il 18 luglio del 2016, dal gip di Roma Valerio Savio che però sposta la competenza territoriale dal tribunale di Roma a quelli di Bolzano e di Trento. In poche ore, il procuratore capo Giuseppe Amato e i sostituti Davide Ognibene e Pasquale Profiti chiedono la conferma delle misure cautelati solamente per 10 dei 17 indagati. Il gip di Trento Francesco Forlenza revoca l'arresto di 7 sospettati di terrorismo islamico.
Al processo di primo grado del marzo scorso (a cui verosimilmente fa riferimento la lettera inviata dal ministero della Giustizia alla procura norvegese), i giudici stralciano la posizione di 8 dei 17 imputati. Costoro hanno avuto contatti superficiali con membri del Califfato, ammettono i giudici, tra cui Krekar, ma questi, continua la sentenza, furono determinati dal loro indottrinamento religioso, senza la reale volontà di pianificare atti terroristici. Nel maggio scorso erano arrivate le prime condanne per quattro curdi bolzanini a processo per associazione con finalità di terrorismo con l'aggravante del carattere della transnazionalità: sei anni per Abdul Rahman Nauroz (il leader della cellula di Merano, considerato colui che aveva curato i contatti con Krekar), 4 anni per Eldin Hodza, Abdula Salih Ali e Hasan Saman Jalal.
I dubbi sulle motivazioni della rinuncia all'estradizione di Krekar, però, restano. Solo il 29 ottobre, sei dei presunti jihadisti della cellula meratese sono stati rimandati a giudizio per il processo d'Appello, previsto per il 13 marzo del prossimo anno. Tra questi, anche Krekar, per il quale non si comprendono le reali motivazioni del ritiro della richiesta di estradizione. In Trentino, intanto, la stampa locale parla da tempo di malumori tra gli inquirenti, soprattutto tra quelli che avevano avviato le indagini a Roma. Ora Krakar torna in libertà in Norvegia.
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