Decrittare il presidente eletto
Contraddizioni politiche e metodi da reality nelle nomine di Trump
Mattis alla Difesa tradisce l’ortodossia trumpiana tanto quanto Mnuchin al Tesoro. Ma poi ci sono comizi e muri
New York. Nel comizio di Cincinnati, apertura del “Thank you tour” di Donald Trump, il presidente eletto ha portato a un nuovo livello il metodo della contraddizione utilizzato finora. Ci si domandava se avrebbe usato toni concilianti e sgrossato la retorica più aggressiva, ma dietro il podio dell’Ohio si è visto lo stesso Trump della campagna elettorale, quello che se la prende con i media “disonesti” e allarga grandi sorrisi quando il suo popolo intona “lock her up” e “build the wall”. Ha gongolato per la “distruzione totale” del muro di stati blu che doveva difendere Hillary e ha ripromesso la costruzione dell’altro muro, quello al confine con il Messico. E’ lo stesso presidente che impugna Twitter come una clava. Il suo simulacro presidenziale è rimasto nelle stanze della Trump Tower dove il team della transizione lavora, con una certa disciplina, per formare la squadra di governo. Fra una frase a effetto e l’altra, Trump ha annunciato la decisione di nominare “cane pazzo” Mattis – non lo ha chiamato con il nome di battesimo, James – a capo del dipartimento della Difesa, notizia che ha scatenato applausi e ovazioni. Ai presenti è passato evidentemente inosservato il fatto che il generale incarna la filosofia opposta all’isolazionismo del genere “America First” che Trump aveva promesso. In Iraq Mattis è stato uno degli interpreti della strategia a sfondo ideale di George W. Bush calata sul campo di battaglia da David Petraeus, e dal Centcom (il comando centrale che dalla Florida coordina le operazioni su tutto il medio oriente) di Barack Obama è stato rimosso perché portatore di istanze eccessivamente aggressive e rapaci sull’Iran.
E’ un avvocato dell’approccio strategico comprensivo e unitario sul medio oriente, con l’America nel ruolo di leader attivo di una grande disputa contro l’“islam politico”, che per Mattis è la diga che trattiene l’ondata liberale e democratica. Il contrario del disimpegno americano invocato dai sostenitori realisti di Trump, che speravano invano di aver cacciato i neoconservatori da Washington. Bill Kristol, direttore del Weekly Standard e fierissimo antagonista di Trump, sponda neocon, non vedeva da mesi una notizia così gratificante: “Mattis è la migliore scelta possibile per il paese”. Nel complicato reality show trumpiano però la contraddizione di questa nomina si è persa. Così come si è perso il fatto che al Tesoro ha nominato Steve Mnuchin, il cui unico tratto trumpiano è quello di essere stato il suo consigliere economico negli ultimi sei mesi. Per il resto ha il curriculum del perfetto banchiere democratico formato a Goldman Sachs e risciacquato a Hollywood. Nella prima fase delle nomine, Trump ha piazzato i lealisti come Michael Flynn (consigliere per la Sicurezza nazionale), Jeff Sessions (procuratore generale) e Steve Bannon (consigliere strategico). Poi ha preso a lanciare ballon d’essai, ha fatto nomi in libertà su Twitter, ha creato un clima da nomination di reality show e con sapienza di regista ha creato litigi fittizi e pubblici fra i suoi collaboratori. Poche ore dopo che Kellyanne Conway ha bastonato in televisione Mitt Romney, definendolo un traditore che il popolo di Trump non avrebbe mai accettato, e Newt Gingrich ha rincarato la dose su altri network, l’ex governatore si è seduto con il presidente eletto davanti a un piatto di capesante con i capperi e i mirtilli rossi.
Trump procede creando contrasti artificiali che poi vengono superati da sintesi inaspettate. Nessuno esce definitivamente dal cerchio dei nominabili, tutti sono in aria di ripescaggio, come sa bene Chris Christie, che è stato ucciso e resuscitato già varie volte nel corso del processo di selezione. Infine, sta emergendo prepotentemente anche il Trump d’establishment, quello che si appoggia alle strutture e agli uomini del Gop che aveva promesso di smantellare. Per creare un ponte con lo speaker Paul Ryan ha scelto l’ex capo del Partito repubblicano, Reince Priebus, come capo di gabinetto, mentre a Tom Price, alleato di Ryan sulla critica dell’Obamacare, andrà il dipartimento della Sanità. Elaine Chao sarà il segretario dei Trasporti e a parte l’esperienza fatta al dicastero del Lavoro sotto l’Amministrazione Bush, la politica nata a Taiwan ha il vantaggio di essere la moglie di Mitch McConnell, il leader dei senatori repubblicani.