La stampella tedesca contro un'altra eurocrisi
Angela Merkel riconfermata leader della Cdu. “Un’Europa competitiva” è il miglior aiuto per l’Italia, dice
Roma. Il congresso della Cdu ieri ha rinnovato per due anni il mandato alla propria leader e attuale cancelliera tedesca, Angela Merkel, ufficializzando in questo modo la sua candidatura alle elezioni federali del 2017. E’ successo a Essen, nella stessa città in cui 16 anni fa Merkel assumeva per la prima volta la guida della Cdu, il Partito cristiano-democratico ininterrottamente al governo dal 2005. La cancelliera ha ricevuto l’89,5 per cento dei voti dei delegati, un consenso massiccio seppure inferiore al 96,7 per cento di due anni fa. Il calo è attribuibile alle scelte in materia d’immigrazione, ripetono concordi gli analisti, visto che una parte dell’opinione pubblica non ha ancora digerito del tutto la decisione del 2015 di aprire le frontiere ai rifugiati siriani. La stessa Merkel, ieri, ha detto che una situazione del genere, che portò all’ingresso in poco tempo di oltre un milione di richiedenti asilo, “non può e non deve ripetersi”. Nel suo discorso di 75 minuti, l’ex ragazza dell’est ha espresso l’intenzione di difendere i valori della Germania e dell’Europa, ha ricordato che “la legge tedesca prevale sulla sharia” (la legge islamica, ndr), e ha affermato di voler vietare il velo integrale, o burqa, “laddove è legalmente possibile”. Soprattutto, la cancelliera ha insistito sul “bilancio impressionante” che il paese può vantare da quando ha smesso di essere “il malato d’Europa” agli inizi degli anni 2000: “Dal mio insediamento come cancelliera, abbiamo dimezzato la disoccupazione, da 5 milioni di senza lavoro a 2,5 milioni, e creato 2,7 milioni di posti aggiuntivi soltanto negli ultimi 5 anni”. Mentre attorno a lei barcollano e crollano capi di governo, dal francese François Hollande all’italiano Matteo Renzi soltanto per stare agli ultimi giorni, la cancelliera tedesca offre – parole sue – “un’àncora di stabilità”.
“Eravamo il malato d’Europa, ora siamo un’àncora di stabilità. Ciò dimostra che una politica intelligente può cambiare le cose”, ha detto la cancelliera Merkel. E’ questo il messaggio per i partner esteri, a partire dalla classe politica italiana, con tanto di riferimento esplicito al referendum di domenica scorsa che ha disarcionato il presidente del Consiglio, Matteo Renzi: “In Germania noi facciamo i nostri compiti a casa, ma non basta. In tempi come questi sarebbe urgentemente necessario indirizzare tutta la nostra energia per rafforzare la competitività in Europa. Anche adesso, dopo il referendum in Italia”, ha aggiunto. Riforme pro competitività da un lato, e nessun cedimento sui conti pubblici dall’altro: “Una seconda crisi dell’euro non ce la possiamo permettere. Per questo, in Europa, dobbiamo attenerci al Patto di stabilità e crescita”. E anche se le prossime elezioni federali in Germania saranno le più complicate dal momento dell’unificazione a oggi, come ha detto la leader conservatrice alludendo all’avanzata di euroscettici e populisti alla sua destra (leggi: Alternative für Deutschland), l’establishment tedesco pare allineato con Merkel su quello che potrà essere il contributo di Berlino nel rafforzare la ripresa economica altrui.
Lo dimostrano alcune recenti analisi dell’Institut der deutschen Wirtschaft (vedi l’articolo di Daniel Mosseri a pagina tre), nelle quali gli studiosi del pensatoio di Colonia si mostrano scettici sul fatto che l’Italia, dopo il referendum di domenica, si mantenga sul sentiero delle riforme. Gli stessi studiosi, numeri alla mano, affermano che il surplus tedesco delle partite correnti – cioè la differenza positiva tra esportazioni e importazioni – non gioca a sfavore degli altri paesi dell’Eurozona. Perfino Daniel Gros, economista tedesco con un pedigree fortemente europeista, in un recente paper per il Ceps ha sostenuto che è perlopiù falsa la tesi secondo la quale Berlino costituirebbe il maggior ostacolo alla ripresa altrui. Non solo perché una politica monetaria espansiva a livello europeo è stata avallata da Berlino, ma anche perché un significativo stimolo della domanda interna tedesca beneficerebbe solo di due o tre decimali aggiuntivi il pil italiano. “E’ fuorviante, insomma, credere che i problemi dell’Italia possano essere risolti a Berlino”, conclude Gros. E’ il Merkel pensiero, insomma, declinato con altre parole.