Più il Califfato perde, meno tedeschi seduce
Il fatto che lo Stato islamico perdente non attragga reclute straniere – o ne attragga meno – è un’indicazione preziosa per la politica estera in futuro
Roma. Secondo uno studio finanziato dall’intelligence di Berlino e pubblicato a fine novembre, il numero dei volontari tedeschi che lasciano il paese per unirsi allo Stato islamico è crollato rispetto a due anni fa. Se nel 2014 c’erano picchi di 100 partenze al mese, oggi i volontari che partono per la Siria e l’Iraq sono – circa – cinque al mese. Il dato tedesco conferma la tendenza più generale indicata anche da altre ricerche, vedi per esempio i numeri dati dal Pentagono a fine aprile, che svelavano che il flusso di reclute straniere dello Stato islamico era passato da circa duemila al mese a cinquecento, una diminuzione del 75 per cento. Ora, se i dati tedeschi sono giusti, va anche peggio per la fazione di Abu Bakr al Baghdadi. I fattori che spiegano questo rallentamento drastico sono almeno due. Il primo è l’attenzione rinnovata dei servizi di sicurezza occidentali, che oggi fanno operazioni di sorveglianza e prevenzione e ritirano i passaporti agli individui sospettati di essere sul punto di arruolarsi nello Stato islamico. Le storie che suonavano ordinarie nel 2012, quando ancora era possibile a chiunque prendere accordi con il gruppo estremista via internet dal computer di casa, partire per la Turchia, abboccarsi con un reclutatore dello Stato islamico, attraversare il confine siriano e cominciare l’addestramento, oggi sono molto più difficili da imitare.
I casi di persone contattate con discrezione dai servizi e dissuase prima della partenza (e inserite su una lista di sorveglianza, se non arrestate) sono diventati comuni. Il secondo fattore è che lo Stato islamico perdente non ha più la capacità di fascinazione e di attrazione, soprattutto sui giovani, che aveva prima. Non a caso i picchi di partenze coincidevano nel 2014 con la fase ascendente del gruppo, con la proclamazione del Califfato e con la serie esaltante di conquiste militari nel nord e nel centro dell’Iraq. In quei mesi l’illusione che in medio oriente stesse nascendo una nuova forma di proto stato governato “secondo le regole del puro islam” poteva esercitare una qualche capacità di seduzione su una (infinitesimale) quota di popolazione occidentale. La realtà, ovvero che lo Stato islamico non è che la seconda chance offerta dalla Storia a un gruppo ultraviolento di fanatici islamici già battuto in Iraq negli anni scorsi e ora tornato per approfittare del caos arabo, è assai meno convincente. Il sogno di gloria per gli adolescenti tunisini è fare parte di un Califfato vincente. Diventare la carne da cannone che difende Mosul e muore sotto i raid aerei americani è senz’altro meno avvincente.
La prova che questo Califfato in fase calante attrae meno reclute – e quindi che non si tratta soltanto dell’attenzione maggiore dei servizi segreti – sta nel fatto che questo calo d’interesse si è già verificato, a partire dal 2008, quando lo Stato islamico in Iraq ha cominciato a declinare sotto i colpi delle forze americane e irachene e anche a causa del nuovo clima di cooperazione con i sunniti. Tra il 2008 e il 2010, il numero di combattenti stranieri che ogni mese raggiungeva l’Iraq scese fino a meno di dieci – un risultato molto importante, considerato che spesso sono volontari che firmano per ruoli suicidi come guidare camion bomba contro obiettivi civili, e quindi meno sono più c’è speranza di stabilità. Il fatto che il Califfato perdente non attragga reclute straniere – o ne attragga meno – è un’indicazione preziosa per la politica estera in futuro: aspettare che si espanda è un errore, è necessario agire prima che possa consolidarsi e diventare seducente. In ogni caso, c’è da tenere conto del dato più importante: c’è comunque una minoranza sparuta e pericolosa di irriducibili che continua a operare anche in tempi di crisi nera, e a pianificare stragi e rappresaglie anche senza più Califfato.