Amsterdam era additata come “la capitale dell’islamofobia”. Giornalisti, artisti, politici e intellettuali avevano dato vita al dibattito più acceso sull’islam. Non resta nessuno di quella stagione

Teheran sul fiume Amstel

Giulio Meotti

Uccisi, fuggiti, processati, censurati: la condanna di Wilders mette fine all’irriverenza olandese sull’islam iniziata con Theo van Gogh. Che fine hanno fatto i dieci corsari

Prima di essere macellato, aggrappato a un cestino dei rifiuti, Theo van Gogh aveva implorato il suo assassino, Mohammed Bouyeri: “Possiamo parlarne?”. L’Olanda era il paese che ne parlava di più in Europa, di islam si intende. L’Iran, nel lanciare i suoi editti contro gli scrittori e gli artisti olandesi, aveva definito Amsterdam “la capitale dell’islamofobia”. Venerdì scorso, i magistrati dell’Aia hanno condannato per “discriminazione” l’ultimo sopravvissuto di quella lunga notte della paura e dell’irriverenza, Geert Wilders. “Un giudice ha stabilito per la prima volta nei Paesi Bassi che ci sono limiti a quello che si può dire”, ha commentato il discusso leader del Partito della Libertà alla notizia della sua condanna. Quando Theo van Gogh venne assassinato, in Olanda c’erano dieci fra giornalisti, scrittori, parlamentari e artisti che ogni giorno animavano il più acceso dibattito sull’islam e l’integrazione in Europa, nel solco della tradizione olandese in cui le libertà rifiutano di rimanere clandestine e dove i feticisti di qualsiasi obbedienza hanno i loro caffè. Che fine hanno fatto quei dieci?

 

Il più noto, Pim Fortuyn, già da due anni riposa nel cimitero di Provesano, nel nord-est italiano. Il film di Van Gogh, “Submission”, che gli è costato la vita, è diventato un oggetto di culto mai più trasmesso in tv e al cinema. Quel film sarebbe scomparso dalle televisioni e dai festival del cinema di mezza Europa, che commisero autodafé. Il Festival di Locarno ritirò il documentario. “Amiamo tutti la libertà di espressione – dichiarò la direttrice del festival Irene Bignardi – Ma quando una proiezione può mettere a repentaglio la sicurezza di chi l’ha prodotto e del pubblico, allora io credo che questa sia una priorità da rispettare, perché ci sono cose ancora più importanti del sacrosanto diritto di espressione. Ci sono tanti modi per dibattere dei problemi della donna”. Il giorno dei funerali di Van Gogh, la tv RTV Noord-Holland annunciò la trasmissione del film per cui un regista era stato così brutalmente assassinato. E lo stesso fece il primo canale pubblico, promettendo la versione integrale alla quale sarebbe seguito un dibattito. Su entrambe le emittenti andò in onda soltanto il dibattito. Il film scomparve. Al Festival del cinema di Rotterdam, la più importante manifestazione del paese, la retrospettiva su Van Gogh con “Submission” fu subito cancellata. Perfino il Parlamento europeo rinunciò a proiettarlo. A piazza Dam, nel centro di Amsterdam, è possibile oggi comprare un dvd pirata di “Submission”, dentro un involucro di plastica nera, senza scritte in copertina.

 

La principale collaboratrice di Van Gogh, Ayaan Hirsi Ali, è fuggita negli Stati Uniti, dopo che il paese e i giornali l’hanno accusata di aver usurpato il diritto di asilo, di disturbare la quiete dei vicini di casa e di non meritare la scorta della polizia (ben altro il trattamento che l’Inghilterra ha garantito a Salman Rushdie).

 

Sooreh Hera è un’artista iraniana che stava per esporre al Gemeentemuseum dell’Aia una serie di opere fotografiche che ritraeva coppie omosessuali. In una di queste c’erano i modelli di Maometto e Alì. I siti islamisti pubblicarono la sua fotografia, dissero che era un’“apostata” e che per questo doveva essere uccisa. Il museo sperava che Hera ritirasse quella foto, limitandosi a esporre altre immagini. L’artista iraniana non accettò, sarebbe stata autocensura, oltre che un giorno triste per l’occidente. Alla fine il suo spazio rimase vuoto. Ronald Plasterk, ministro della Cultura, si rifiutò di chiedere al museo di tornare sui propri passi. Ranti Tjan, il direttore del museo di Gouda che si era coraggiosamente offerto di esporre le immagini di Sooreh Hera censurate all’Aia, venne posto sotto la sorveglianza della polizia e anche in quel museo, a causa delle minacce, la mostra fu cancellata. Sooreh Hera da allora è praticamente scomparsa. Naima El Bezaz, autrice olandese di origine marocchina, che ha una posizione critica verso la coercizione religiosa sessuale nell’islam, ha deciso di non parlarne più in pubblico.

 

Paul Cliteur, un accademico liberale molto critico del multiculturalismo, si è autocensurato, annunciando che non si sarebbe più occupato di islam per i giornali olandesi nel timore di rappresaglie. “Dopo l’assassinio di Van Gogh chi scrive si assume certi rischi”, ha detto Cliteur. “Questo è uno sviluppo spaventoso. Quello che compio è autocensura, assolutamente”.

 

Una columnist del quotidiano NRC Handelsblad, Hasna el Maroudi, è stata costretta a cessare la collaborazione a causa delle minacce. Sui siti islamici la chiamavano “prostituta”, “cancro”. “Non posso fare a meno di soccombere alla pressione”, recitava la sua ultima column. “Non oso scrivere quello che voglio”.La giornalista turco-olandese Ebru Umar aveva con orgoglio ereditato la rubrica dell’amico Theo van Gogh sul quotidiano Metro. Nella sua prima column, Umar aveva scritto che l’“intimidazione invisibile della mafia della censura funziona bene: il 68 per cento degli olandesi non dice più pubblicamente cosa pensa. Nei Paesi Bassi non c’è più libertà d’espressione”. Questa estate, Umar è finita in carcere in Turchia dopo alcuni tweet contro il presidente Erdogan. Il giorno dopo la sua casa di Amsterdam è stata vandalizzata.

 

L’artista olandese Rachid Ben Ali, originario della città di Taza, in Marocco, iniziò a ricevere minacce di morte dagli estremisti islamici per i suoi quadri blasfemi e ha dovuto cambiare casa e studio. Il museo d’arte moderna di Amsterdam, il Cobra, aveva deciso di esporre le opere di Rachid Ben Ali in una mostra che faceva parte di una serie di eventi culturali nota come “Marocco-Paesi Bassi” e aperta da un importante uomo politico marocchino nato ad Amsterdam, Ahmed Aboutaleb, che fece un accorato appello per la libertà di espressione ma accompagnato da guardie del corpo. Rachid Ben Ali oggi continua a esporre, ma non parla più di islam. Anche il vignettista Gregorius Nekschot, che sotto questo pseudonimo pubblicava su giornali e riviste, ha annunciato di aver cessato ogni polemica sull’islam. La sua vignetta più celebre mostra la scritta “Islamsterdam” e un imam con un coltello fra i denti. In un’intervista al quotidiano Volkskrant, il vignettista ha così spiegato la scelta di smettere di disegnare: “Posso essere di nuovo me stesso, non ho bisogno di essere misterioso sulla mia vita personale, non devo più preoccuparmi che la mia identità diventi nota. E’ la fine della paura”. E della libertà d’espressione.

 

E’ durata poco la battaglia di un giovane politico laburista di origini iraniane, Ehsan Jami, fondatore di un comitato di protezione degli ex musulmani, pestato da un gruppo di fanatici islamisti, minacciato di morte e sotto scorta. A teatro in Olanda non si è più irriverenti da tempo. L’ultimo che ci ha provato è stato il regista Gerrit Timmers. Direttore del gruppo teatrale Onafhankelijk Toneel, Timmers voleva mettere in scena a Rotterdam la vita della moglie di Maometto, Aisha. Ma l’opera venne boicottata dagli attori mussulmani della compagnia quando fu evidente che sarebbero stati un bersaglio per gli islamisti. Il compositore, Najib Cherradi, comunicò che si sarebbe ritirato “per il bene di mia figlia”. Il quotidiano NRC Handelsblad titolò così: “Teheran sulla Mosa”, il fiume che bagna Rotterdam. “Avevo già fatto tre lavori sui marocchini e per questo volevo avere degli attori e cantanti musulmani – ha raccontato Timmers – Poi mi dissro che era un tema pericoloso e che non potevano partecipare perché avevano ricevuto delle minacce di morte. A Rabat uscì un articolo in cui si disse che avremmo fatto la fine di Salman Rushdie. Per me era più importante continuare il dialogo con i marocchini piuttosto che provocarli”.

 

Il più famoso comico e cabarettista olandese Hans Teeuwen, dopo l’uccisione dell’amico Van Gogh, di cui tenne l’orazione funebre, aveva realizzato un video di quattro minuti in cui diceva: “Buona sera signore e signori, questo è il mio nastro suicida. Ho deciso di scrivere un delizioso finale alla mia vita, vale a dire morire per la libertà di parola. La lotta contro i fascio-islamici deve continuare. Possiamo ancora dire il cazzo che vogliamo”. Ma la lotta è durata poco. Hans Teeuwen ha cambiato idea e tono dopo il massacro alla redazione di Charlie Hebdo: “Dobbiamo avere il coraggio di dire che la libertà di espressione non esiste più”. Basta satira sull’islam. “L’artista che versa sangue di maiale su un Corano, in un cartone animato o in una battuta, ha un grosso problema. E’ importante riconoscere che la paura è lì. Ci sono persone che, nelle reazioni, minimizzano l’importanza della libertà di parola. Che è molto peggio. Ma l’influenza del terrore si estende fino al punto che dobbiamo cominciare a pensare in modo diverso. Il rischio di incidenti è diventato troppo grande.

 

Non ci resta che il coraggio di stabilire che abbiamo perso la libertà di parola. Come i cineasti che hanno dovuto censurare i lavori nelle dittature, ora dobbiamo inventare modi creativi per dire ciò che consideriamo importante senza farsi uccidere”. Theodor Holman, giornalista e amico di Van Gogh, ha attaccato di recente sul quotidiano Het Parool la scelta del comune di Amsterdam di affidare la deradicalizzazione dei musulmani partiti a combattere con l’Isis allo psicoanalista britannico David Kenning, il quale ha detto che l’estremismo islamico nasce dai problemi psicologici degli “adolescenti”: “Abu Bakr al Baghdadi è un adolescente? Bin Laden era un adolescente? La leadership di Al Nusra o Boko Haram è fatta di adolescenti? Il fascismo è stato un problema di adolescenti? E la Lunga Marcia di Mao erano adolescenti in marcia? I membri della Raf erano adolescenti? Hamas è composta da adolescenti? E Lenin? E Stalin? Van Gogh è stato ucciso da un adolescente? E Mohamed Atta, che è volato contro le Torri, era un adolescente?


 

E’ la nostra città ad aver bisogno di uno psichiatra. Un esercito di psichiatri!”. Il giorno dopo l’uccisione di Theo van Gogh, il servizio segreto olandese prese Geert Wilders e lo portò via. Scomparve per mesi, protetto come un fantasma in “località sicure”. Riapparve con una scorta simile a quella di Pervez Musharraf e indossando un giubbotto antiproiettili in pubblico. Quel giorno, assieme a Wilders, in Olanda sembra essere entrata in clandestinità anche la libertà d’espressione. L’Amstel, che bagna una delle città più belle d’Europa, è diventato un fiume come un altro. “E’ possibile che l’occidente libero perda la guerra delle idee”, aveva scritto Theo van Gogh in una delle sue ultime rubriche su Metro. Forse aveva ragione.

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  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.