Chi è Rex Tillerson, il prossimo segretario di stato scelto da Trump
All'amministratore delegato di Exxon Mobil spetta il compito di tagliare i ponti con la famosa genia dei politici “all talk, no action” andando in giro per il mondo a fare grande l’America
Dopo gli annunci a metà, i tentennamenti tattici, i tweet interlocutori e la solita cortina fumogena per confondere, Donald Trump ha scelto come segretario di stato Rex Tillerson, amministratore delegato di Exxon Mobil. E’ la nomina più trumpiana di un governo dove non mancano, specialmente nei punti nevralgici, elementi di continuità con l’amministrazione Obama e mani tese all’odiato establishment repubblicano. Il signore del petrolio che si trasforma in capo della diplomazia americana senza sapere nulla di protocolli, ma sapendola lunga di business globale e “deal” transnazionali con ampi margini di profitto, è una purissima incarnazione del trumpismo e delle sue contraddizioni. E’ a Tillerson che spetta il compito supremo di tagliare i ponti con la famosa genia dei politici “all talk, no action” andando in giro per il mondo a fare grande l’America così come ha fatto grande la compagnia figlia dell’avita casata dei Rockefeller. Nel 2015 la Exxon ha fatturato quasi 269 miliardi di dollari.
L’ironia è che il più trumpiano dei membri dell’esecutivo non l’ha sostenuto durante la campagna elettorale, preferendogli quel Jeb Bush che è “low energy” sul palco, ma di energia se ne intende per appartenenza famigliare. In quanto fratelli di Texas, i due s’intendono, e Tillerson s’intende anche con tutti i candidati repubblicani dell’establishment che nel corso degli anni ha generosamente finanziato.
Il segretario di stato dell’Amministrazione Trump è un sostenitore dell’accordo di Parigi (Trump è contrario), è favorevole all’area di libero scambio dei paesi del Pacifico (Trump è contrario), sostiene il Common Core (Trump è contrario), giudica la minaccia dei cambiamenti climatici causati dall’uomo “reale” e “seria” (Trump ci sta pensando) ed è un boy scout (Trump ha fatto ai boy scout la più piccola donazione della sua modesta carriera di filantropo: 7 dollari).
Qualche anno fa al Council on Foreign Relations ha illustrato la sua posizione contraria all’isolazionismo che il presidente eletto predica: “Gli Stati Uniti devono cercare la cosiddetta indipendenza energetica in un illusorio tentativo di isolare il paese dall’impatto degli eventi globali sull’economia, oppure devono seguire la strada del coinvolgimento internazionale, cercando nuove vie per competere nel mercato globale dell’energia? Credo che dobbiamo scegliere un maggiore coinvolgimento internazionale”.
La scelta di Tillerson ha l’aria di una virata verso posizioni realiste e pragmatiche più che di una concessione all’ideale dell’America First. Sono stati Steve Bannon e Jared Kushner, la trasversale diarchia che va osservata per capire il trumpismo, a spingere per la nomina del supermanager che è conosciuto soprattutto per i suoi legami con Vladimir Putin, questione di affari fra grandi player dell’energia che gli avversari amano dipingere come un perverso bromance. John Hamre, amministratore delegato di un think tank di cui Tillerson è consigliere, dice che il segretario “ha passato più tempo con Putin di ogni altro americano a eccezione di Kissinger” e la faccia gaudente del manager in compagnia di Putin al conferimento di un prestigioso riconoscimento di amicizia si è diffusa ovunque non appena il suo nome ha preso a circolare. Il suo uomo di fiducia al Cremlino è l’ubiquo Igor Sochin, il chairman di Rosneft e consigliere che sussurra all’orecchio del presidente le indicazioni più conservatrici. Tillerson, che in Exxon è entrato come ingegnere della produzione nel 1975, è stato a capo di una divisione russa dell’azienda e ha negoziato contratti esplorativi in aree dell’Artico controllate dalla Russia, si è battuto per la revoca delle sanzioni a Mosca, strumento che in generale giudica inefficace. Uno strappo notevole rispetto a un’amministrazione che ha condotto i rapporti con gli avversari a suon di sanzioni, con risultati modesti. Nessuno è più preparato di lui per ricostruire i rapporti con Mosca, la priorità geopolitica dell’Amministrazione Trump.
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