Una strategia, e Dostoevskij
L’asse tra Mosca e Washington si rafforza, ma che cosa ci guadagna l’Ue? Un girotondo di opinioni, tra vasi di terracotta e un “sottosopra” che conviene
Dove impera la guerra, si cerca la pace; dove c’è pace si guarda la guerra altrui, dove c’è guerra fredda si ghiacciano i cuori. Trump vuole scongelare lo scenario e si tratta di un capovolgimento della dottrina obamiana. Le relazioni tra Stati Uniti e Russia durante la presidenza Obama sono andate via via peggiorando e la Casa Bianca ha usato tre strumenti: le sanzioni economiche, l’avanzamento della Nato a est (e il riarmo dei paesi dell’ex Cortina di ferro), lo spionaggio. Putin ha risposto all’isolamento e alla frattura con lo strumento militare a est (Crimea e Ucraina) e nel medio oriente (Siria, Iraq, collaborazione con l’Iran, l’Egitto e le fazioni libiche del generale Haftar), lo spionaggio (è un mondo dove tutti ascoltano tutti, alleati compresi) e una presenza massiccia di contro-informazione che grazie a Internet ha avuto un grande impatto nella costruzione in Europa del “mito” della Grande Russia e del suo capo, Vladimir Putin.
L’effetto economico delle sanzioni sull’Europa, le incertezza della governance dell’Unione hanno completato il quadro fallimentare di Obama. All’Europa il sottosopra di Trump conviene, se ne saprà cogliere le opportunità. Bisogna fare politica. Energetica, prima di tutto. Non ci sono oleodotti che vanno da Washington a Berlino, ci sono molti gasdotti che dalla Russia sfociano in Europa. E per questo la Germania ha un dritto e un rovescio con Mosca. Come l’Italia. L’altro ieri Eni ha venduto alla compagnia petrolifera Rofsnet una quota del 30 per cento del mega giacimento di gas di Zohr, al largo dell'Egitto. Incasso per la compagnia petrolifera italiana: 1.125 milioni di dollari. Business? No, politica estera. Serve altro? Sì, una raccomandazione da Dostoevskij: non c’è maggiore astuzia che mostrare il proprio volto, perché nessuno ci crede.
I conservatori inglesi