Ad Aleppo Putin dipende dai “gruppi iraniani”
Bloccata l’evacuazione dei civili frutto di un’intesa fra Russia e Turchia, in città dominano le milizie straniere
Roma. La storia della tregua prima firmata da Russia e Turchia per trasferire in salvo gli assediati di Aleppo e poi bloccata dall’Iran rende bene l’idea di cosa succede e di chi comanda in quel quadrante del paese. Una fonte di Aleppo dice al Foglio che ieri mattina gli autobus verdi hanno abbandonato il luogo prestabilito per l’inizio dell’evacuazione dei civili dalla città, che era stata fissata per le cinque del mattino e che non è mai cominciata. L’evacuazione era il risultato di un patto discreto tra Russia (che rappresenta il presidente siriano Bashar el Assad) e Turchia (che negozia a nome di alcuni – non di tutti – gruppi armati ribelli). La fonte dice che l’accordo con i ribelli c’è ed è stato pure firmato da un ufficiale russo. Non è impossibile: il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov dice che Mosca negozia con tutti i ribelli, tranne Jabhat al Nusra e Stato islamico. Cinque ore dopo l’ora della partenza abortita ricominciano i bombardamenti sugli assediati, come se non ci fosse stato alcun piano. La fonte non vuole vedere il proprio nome in un articolo perché sono tempi duri – i nomi possono finire sulle liste di siriani in mano al governo e ancora non si sanno le conseguenze: cattura? Arruolamento obbligatorio nell’esercito? Per ora si tiene in contatto con i compagni ancora dentro Aleppo e attende nei dintorni di al Atarib, circa 30 km a est della città, che è il posto dove avrebbero dovuto arrivare gli autobus verdi. I bus sono ormai il simbolo della strategia del governo del presidente Bashar el Assad: assediare le aree che si sono ribellate, costringerle alla capitolazione con un misto di bombardamenti e di fame, svuotarle, trasferire gli abitanti altrove con – appunto – gli autobus verdi.
Gli sfollati sono stati bloccati ai checkpoint delle milizie iraniane, che non si accontentano del patto raggiunto dai russi assieme con i gruppi ribelli. Per loro le condizioni poste dai russi sono troppo miti, vogliono di più, per esempio vogliono allargare l’intesa a due enclave sciite assediate dai ribelli vicino Idlib. Il contatto del Foglio dice così, “milizie iraniane”, ma è una semplificazione per tagliare corto e indicare quell’assortimento di fazioni armate sciite formate da combattenti di nazionalità varie, siriani, pachistani, afghani, iracheni, libanesi, yemeniti, che in Siria si muove sotto il comando delle Guardie rivoluzionarie iraniane. Se l’Iran disfa l’intesa, gli assediati restano dentro Aleppo est, ed è quello che è successo.
Iran e Russia hanno il potere assoluto sulle decisioni del governo Assad, perché stanno fornendo la potenza militare che ne garantisce la sopravvivenza – anzi, più che la sopravvivenza, sono la forza dietro la serie recente di vittorie. Tra i due partner stranieri di Damasco, i russi sembrano i più forti, ma gli iraniani hanno molti argomenti per farsi valere e per dominare in questo triangolo. L’argomento più forte è che gli iraniani provvedono a tutta la manovalanza necessaria a conquistare Aleppo e soprattutto a tenerla. I russi hanno deciso di fare una guerra quasi del tutto aerea, senza impegnare truppe a terra, per non dover soffrire perdite e anche per evitare la previsione maligna del presidente americano Barack Obama, che nel 2015 disse: l’intervento russo in Siria finirà in un “quagmire”, vale a dire s’impantanerà in un disastro militare.
Se non ci fossero gli iraniani, Putin per essere altrettanto decisivo – come lo è ora – nella guerra civile siriana (ma non contro lo Stato islamico) dovrebbe mandare soldati russi a terra, ma sarebbe difficile da spiegare al paese. Il numero dei soldati iraniani morti in Siria è superiore a mille, come anche il numero di Hezbollah libanesi morti in Siria, per non parlare delle perdite delle altre milizie sciite – per esempio quelle afghane – che sono più difficili da conteggiare. Questo volume di perdite sconsiglia un impegno troppo robusto a terra. Il risultato è che l’Iran può dettare condizioni. E ai civili di Aleppo tocca una situazione che Yaacov Lozowick, capo archivista dello Yad Vashem, il museo dell’Olocausto di Gerusalemme, descrive così: “Quando noi ebrei diciamo mai più, diciamo mai più a situazioni come quella di Aleppo”.