Cosa c'è (Ucraina) e cosa manca (Turchia) nell'agenda del Consiglio Ue di oggi
Il processo di allargamento ad Ankara è arenato dall'opposizione dell'Austria, quello verso Kiev vede le resistenze dell'Olanda. Mosca è spettatore interessato
Roma. Basta guardare all’agenda dell’ultimo Consiglio europeo del 2016 in programma oggi a Bruxelles per avere un’istantanea della crisi dell’Ue. I capi di governo dei 28 paesi membri sono chiamati a decidere su eventi epocali, che vanno dalla guerra in Siria, al ruolo della Russia, passando per le politiche sociali e per l’occupazione, le relazioni con la Nato fino alle politiche migratorie, tutto nel giro di meno di 24 ore. L’impotenza dell’Ue sta nelle dichiarazioni filtrate da Bruxelles prima ancora dell’incontro, in cui si ammetteva che difficilmente oggi i capi di governo degli stati membri decideranno qualcosa su ciascuno di questi punti.
A far notizia, allora, è piuttosto quanto non sarà presente in agenda, tra cui il nodo del processo di adesione della Turchia. Dopo un anno di trattative, intensificate dall’accordo sui flussi migratori siglato a marzo con Ankara, il risultato è un nulla di fatto. Complici le divisioni tra i paesi membri al Consiglio dei ministri degli Esteri di martedì, il presidente dell’Ue, Donald Tusk, è stato costretto all’ultimo a rimuovere l’argomento dall’agenda di giovedì. A far saltare l’intesa è stato il giovane rampante ministro degli Esteri austriaco, Sebastian Kurtz, che usando toni più familiari alla destra estrema, ha anche proposto nelle ultime ore l’adozione del sistema australiano per impedire ai migranti di sbarcare sulle coste europee. “Il nostro approccio deve essere quello di impedire ai clandestini di raggiungere il nostro suolo”, ha detto Kurtz a Politico, proponendo di intercettare i barconi in mare e di riaccompagnarli subito al porto di provenienza.
Sullo sfondo resta la competizione tra l’Ue e la Russia. Bruxelles teme che la rotta dei migranti lungo la dorsale orientale del continente riprenda vigore con la fine dell’accordo con la Turchia e che l’influenza di Mosca in paesi come Serbia, Macedonia, Montenegro, Bosnia, Albania, Kosovo, ma anche Georgia e Moldavia – tutti in corsa, a loro volta, per aderire all’Ue – accenda una competizione per conquistare sfere di influenza. Ad alimentare la tensione ci ha pensato lunedì il vice cancelliere austriaco e ministro dell’Economia, Reinhold Mitterlehner, che al quotidiano tedesco Welt ha detto che è ora di rimuovere le sanzioni alla Russia. Il respiro di sollievo tirato da Bruxelles all’indomani dell’elezione del verde Alexander Van der Bellen alla presidenza della Repubblica austriaca è già stato strozzato e in pochi giorni Vienna ha toccato i nervi scoperti degli altri 27 stati membri, la maggioranza dei quali resta ferma su due punti. Il primo: la repressione in Turchia non piace, ma far saltare in via ufficiale l’accordo su migranti e integrazione farebbe solo il gioco di Erdogan. Il secondo: l’unica cosa che l’Europa può fare per scoraggiare i russi in Siria è potenziare le sanzioni contro Mosca.
Tra i punti più delicati di cui invece si parlerà oggi a Bruxelles, sempre nel capitolo tormentato del processo di allargamento, è la questione dell’Ucraina. Anche in questo caso, l’unanimità richiesta per ratificare l’accordo di libera circolazione e libero commercio è messa in pericolo dalla posizione di un paese membro, l’Olanda, che col referendum dello scorso aprile è l’unico stato europeo a essersi opposto alla firma finale. A preoccupare gli olandesi è che la stipula dell’accordo li costringa un domani a prendere impegni anche sul fronte della sicurezza e della Difesa nei confronti di Kiev, pressata a est dalle truppe russe. La settimana scorsa, il primo ministro olandese Mark Rutte ha detto al Financial Times che vuole l’inserimento di una clausola specifica nel testo finale in cui si chiarisca che l’accordo riguarda meramente aspetti commerciali e la libertà di movimento. Sulla questione si preannuncia una discussione accesa già alla riunione di oggi, dove paesi come la Polonia spingono invece per la ratifica dell’accordo con Kiev così come è adesso e chiedono maggiori garanzie militari agli altri stati membri. Dopo l’opposizione del Belgio alla ratifica del Ceta con il Canada e quella di Germania e Francia al Ttip con gli Stati Uniti, Bruxelles teme ora un caso analogo con l’Ucraina, e con la Russia pronta ad approfittarne. Rutte, atteso dalle elezioni parlamentari del prossimo marzo, cerca invece una mediazione impossibile con l’Ue e ha davanti una scelta difficile: voltare le spalle al popolo e al Parlamento, dove sia la destra sia la sinistra esigono il rispetto dell’esito del referendum, oppure essere annoverato da Bruxelles tra gli stati liberisti europei che negli ultimi mesi hanno intralciato i più grandi accordi commerciali degli ultimi anni.
Dalle piazze ai palazzi