Kabila non s'arrende, il Congo ripiomba nel caos
Il presidente in carica non può ricandidarsi, ma rinvia le elezioni. L’opposizione scende in piazza e lo spettro dei cinque milioni di morti della guerra civile si riaffaccia sul più grande paese africano
Milano. Una crisi politica dai possibili sbocchi sanguinosi sembra sul punto di scoppiare nella Repubblica democratica del Congo (RDC), l’enorme e poverissimo paese centrafricano che è stato una colonia belga fino al 1960. Oggi, 19 dicembre, è ufficialmente l’ultimo giorno del mandato del presidente Joseph Kabila, che però ha già annunciato che non intende lasciare il suo incarico: il motivo, hanno spiegato alcuni dei ministri a lui vicini, è che problemi logistici e finanziari rendono impossibile organizzare delle nuove elezioni prima del 2018.
Lo “scivolamento”, come lo chiamano i congolesi, è stato avallato lo scorso maggio dalla Corte costituzionale del paese, stabilendo che Kabila può rimanere capo dello Stato fino alle nuove elezioni. Il presidente, che si esprime raramente in pubblico, durante una visita in Uganda dello scorso agosto aveva detto che “quando il registro degli elettori sarà disponibile, ci saranno le elezioni”. Ma dal momento che l’ultimo censimento risale al 1983, è molto difficile determinare quanti siano di preciso gli abitanti – e quanti gli elettori – di questo paese grande otto volte l’Italia. I suoi oppositori hanno contestato le parole di Kabila, accusandolo di voler prolungare indefinitamente il suo secondo mandato, e hanno chiesto elezioni immediate. Kabila è diventato presidente della Repubblica democratica del Congo nel 2001, dopo che il padre Laurent – che aveva sconfitto in una sanguinosa guerra civile il dittatore Robert Mugabe – fu ucciso in un attentato. Kabila ha poi vinto le uniche due elezioni pacifiche che si sono tenute nel paese dopo l’indipendenza, nel 2006 e nel 2011, ma la Costituzione non gli consente di candidarsi per un terzo mandato.
Già oggi dovrebbe svolgersi una grande manifestazione nella capitale Kinshasa, dove le opposizioni godono di grande seguito, e secondo molti osservatori il rischio di violenze è molto alto. Nei quartieri popolari della città e anche in altre zone della RDC un’ampia parte della popolazione, soprattutto i giovani, è infatti pronta a scendere in strada per protestare contro il presidente, anche a costo di affrontare l’esercito, come accaduto lo scorso settembre quando in alcuni scontri morirono almeno 50 persone. I sostenitori di Kabila hanno messo in guardia gli oppositori, lasciando intendere che la risposta alle manifestazioni potrebbe essere ancora una volta brutale. Intanto, negli ultimi giorni, nel paese c’è stata una grande ondata di arresti, e le autorità hanno ordinato il blocco dei social network a partire da domenica sera. Kinshasa è stata circondata da checkpoint, decine di migliaia tra soldati e poliziotti sono stati dispiegati nelle zone sensibili della città e nel resto del paese. Il timore di molti osservatori è che questa crisi possa riacutizzare una situazione mai del tutto pacificata dopo la guerra civile combattuta dal 1997 al 2003 – in cui morirono 5 milioni di persone – e i combattimenti che continuano nell’est del paese: anche una parte dei 20 mila soldati delle Nazioni Unite in missione di peacekeeping proprio in quella zona è stata spostata a Kinshasa.
La tensione nella RDC è molto alta da mesi, con proteste e tentativi di negoziato che si sono susseguiti via via che si avvicinava la scadenza del mandato di Kabila. L’ultima trattativa tra il governo e le opposizioni, mediata dalla chiesa cattolica, si è bruscamente interrotta sabato anche se dovrebbe riprendere la prossima settimana, dopo la visita dei vescovi congolesi da Papa Francesco. Il governo ha dato la colpa del fallimento dei colloqui all’opposizione, accusando gli Stati Uniti e l’Unione europea di voler interferire con “mentalità colonialista” negli affari interni dello stato, dopo che all’inizio di dicembre nove funzionari – accusati della repressione violenta degli oppositori politici – sono stati colpiti da sanzioni internazionali. Nell’ultimo periodo Kabila è stato sempre più isolato dalle diplomazie occidentali, che continuano a lanciare appelli affinché lasci la carica, ma ha ancora il discreto sostegno dei paesi vicini e per ora anche della Cina, che negli ultimi anni ha investito moltissimo nel paese.
Secondo quanto ha detto un diplomatico occidentale al Monde, per ora “Kabila resta più forte dei deboli riuniti in seno a un’opposizione che ha valutato male i rapporti di forza”, e che spesso è composta da persone che devono la loro ascesa proprio alla vicinanza al presidente. E’ il caso dell’esponente dell’opposizione più noto all’estero, il ricchissimo Moïse Katumbi, che ha invitato Kabila a lasciare il potere prima di diventare un candidato “illegittimo”. Katumbi – che possiede tra l’altro della squadra di calcio del Mazembe, la sfidante dell’Inter nella finale della coppa del mondo per club del 2010 – è stato fino al 2015 governatore del Katanga, la regione meridionale e più ricca della RDC, sostenuto da Kabila. Poi ha cambiato campo, e a maggio ha annunciato che si sarebbe candidato per succedergli. Nel frattempo, ha cominciato a ricevere minacce fisiche ed è stato coinvolto in inchieste giudiziarie secondo lui dovute a motivi politici, e ha dovuto lasciare il paese.