I piani della cellula tedesca del “predicatore senza volto”
Secondo l’intelligence, il tunisino sospettato della strage di Berlino era dell’entourage dell’iracheno Abu Waala
Milano. La ricostruzione dei viaggi, degli incontri, della vita degli attentatori jihadisti che colpiscono in Europa restituisce sempre un’immagine dolorosa di noi stessi, delle sviste, delle negligenze, degli errori. Com’è possibile che ci sia sfuggito?, è la domanda che ci tormenta, e che si amplifica a ogni tassello ritrovato. Con Anis Amri, il principale sospettato dell’attacco al mercato di Natale di Berlino, dodici morti e 48 feriti, sfuggito alla polizia tedesca e ora al centro di una caccia all’uomo europea, si sta cercando di capire dove sia nata la sua radicalizzazione, e con chi: la tesi del lupo solitario è debole. La famiglia sostiene che quando è partito dalla Tunisia Amri era un delinquente, agitato, droga e alcol, ma non era un fondamentalista: la responsabilità ricadrebbe sui contatti in Europa, tra il carcere in Italia e l’anno trascorso in Germania.
C’è un film bello uscito quest’anno (era anche al Festival di Roma) che s’intitola “Le ciel attendra”, che racconta il processo di radicalizzazione di due ragazze, il “jihad al femminile” che ha sconvolto l’Europa negli ultimi anni, con quelle immagini rubate dalle videocamere degli aeroporti di ragazze cresciute in occidente che con i loro veli lunghi scappano verso la Siria per “incontrare il jihad”. L’obiettivo del film, che si basa sul lavoro di Dounia Bouzar, l’antropologa del “de-indottrinamento” (che nel film interpreta se stessa), è quello di capire qual è il momento esatto in cui una società, un paese, si perde i suoi ragazzi, e perché. C’è una scena in cui una delle due protagoniste, Sonia, che ha un padre nordafricano e una madre francese, è reclusa in casa perché è stata presa mentre cercava di piazzare una bomba assieme ad altre ragazze. Una notte, mentre la famiglia dorme, Sonia è in bagno con un cellulare rubato e fissa sullo schermo un video di un canale legato allo Stato islamico. Più guarda più si agita, finché piangendo spegne il telefono e va da sua madre, che è a letto: “Sono andata online – le sussurra – Non sono riuscita a trattenermi. Ho decine di voci in testa, che continuano a dirmi di tornare. Non ce la faccio più. Ho paura a stare chiusa qui, ho paura ad abbandonare tutto, ho paura a restare. Sto impazzendo”.
Le voci che ha sentito Anis Amri in Germania sembrano legate al reclutatore-predicatore iracheno Abu Walaa, 32 anni, che operava nella moschea di Hildesheim, a tre ore da Berlino, prima di essere arrestato, assieme ad altre quattro persone, la mattina dell’8 novembre. Secondo l’intelligence tedesca, Abu Waala era il leader della cellula: Michael Weiss e Katie Zavadski hanno scritto sul Daily Beast che dava consigli religiosi e di vita famigliare in video in cui non mostrava il suo volto – è chiamato il predicatore senza volto. Gli store di iPhone e Android hanno una app che si chiama “Abu Walaa” e c’è una pagina Facebook con i suoi filmati, sempre ripreso da dietro, in cui reclutava per la guerra santa. La polizia tedesca ha infiltrato l’entourage del predicatore: la cellula era impegnata a pianificare attacchi contro le stazioni di polizia – con attentati diretti o facendo telefonate false e uccidendo le pattuglie una volta che arrivavano al posto indicato al telefono. Il legame tra il tunisino Amri e Abu Waala non è ancora stato confermato, ma per lo Spiegel i contatti tra i due erano “regolari”.