Amri è il prototipo del nuovo Stato islamico, senza barba e carro armato, ma altrettanto pericoloso
Era poliglotta, parlava arabo e tedesco, ha registrato la sua dichiarazione di fedeltà allo Stato islamico con le parole dell’arabo classico usate nella propaganda baghdadista
Anis Amri è il nuovo prototipo di agente dello Stato islamico che preoccuperà i servizi di sicurezza occidentali nei prossimi anni. Avete presente il vecchio modello? Barbuto in mimetica che sventola la bandiera nera con il sigillo del profeta Maometto da sopra a un carro armato: spesso i giornali e i siti scelgono quel tipo di foto per illustrare i pezzi sullo Stato islamico. Ora, mentre il gruppo estremista perde in lenta progressione il territorio che ancora controlla in Iraq e in Siria, tocca abituarsi a una nuova versione della stessa minaccia. Un infiltrato rasato con cura, in giacca sportiva, capelli ben tenuti e cuffiette del telefonino per registrare il giuramento di fedeltà al capo Abu Bakr al Baghdadi anche in pieno giorno in mezzo a un parco di Berlino. Dal punto di vista della carica ideologica è lo stesso militante che sta sopra al carro armato, ma ha adottato una serie di accorgimenti per muoversi in un contesto urbano. La barba che manca – invece che essere lasciata crescere abbastanza da reggere una penna come raccomandano a Mosul – ricorda un video molto vecchio dei capi dello Stato islamico che li mostra durante una riunione in un appartamento nel 2003 in Iraq, tutti ben rasati perché in quel momento il paese è ancora sotto il controllo degli americani e dell’autorità provvisoria e quindi c’è da mescolarsi alla gente normale senza creare sospetti. I capelli tagliati corti contraddicono la profezia islamista, che dice che l’onore della religione sarà ripristinato da uomini con i capelli lunghi e le bandiere nere che arrivano da oriente (per questo nei video da Raqqa sembrano tutti capelloni) ma anche in questo caso è tattica. Non è una novità, fa parte della dissimulazione spesso adottata durante le operazioni terroristiche, vedi l’egiziano Mohammed Atta rasato alla perfezione prima di dirottare l’aereo l’11 settembre (no, non è la taqiyyah: quella è un insegnamento sciita e non c’entra con lo Stato islamico e al Qaida, che sono gruppi sunniti). La differenza è che Atta era andato ad addestrarsi per mesi in un campo di al Qaida in Afghanistan e al ritorno aveva dovuto fingere di aver smarrito il passaporto per coprire le sue tracce, il tunisino invece nel 2016 è diventato un attentatore dello Stato islamico senza mai uscire dalla Germania.
Amri era poliglotta, parlava arabo e tedesco, ha registrato la sua dichiarazione di fedeltà allo Stato islamico con le parole dell’arabo classico usate nella propaganda baghdadista, come “salibiyin”, crociati, e si sentiva sicuro a sufficienza in italiano da provare con i due poliziotti che lo hanno fermato a Sesto a farsi passare per un connazionale: “Sono calabrese”. Era abbastanza accorto da usare alcuni accorgimenti minimi per la propria sicurezza, come abbandonare il suo telefonino con il vecchio numero a bordo del camion e usare una nuova sim. Aveva gli interlocutori giusti, perché è riuscito a inviare un video di rivendicazione al comando centrale dello Stato islamico, che è da qualche parte in Iraq o in Siria e l’ha poi fatto uscire poco dopo la morte. Comunicava con il nipote in Tunisia via Telegram, che è un’applicazione criptata che in teoria non è intercettabile da terzi – ma qui qualche errore deve averlo fatto, perché i servizi tunisini dicono di avere arrestato il fratello perché ha aiutato Amri a preparare il giuramento di fedeltà e gli ha mandato soldi, quindi qualche intercettazione esiste. Il difetto di fabbrica del tunisino è che aveva molti precedenti sospetti (che comunque non gli hanno impedito di commettere una strage): in carcere festeggiava gli attentati, a luglio s’era fatto sentire mentre si offriva per un’operazione suicida. Il nuovo prototipo di agente dello Stato islamico imparerà a lasciare meno tracce dietro di sé.
Dalle piazze ai palazzi