Il discorso di Netanyahu al Congresso americano nel marzo 2015 (foto LaPresse)

Dopo l'astensione

Contro l'Onu e contro Obama. Il Congresso (con Trump) difende Israele

Paola Peduzzi

Netanyahu “riduce” i rapporti con 12 paesi, oggi il voto per i nuovi insediamenti. Dettagli sui precedenti. “Un club per passare il tempo”, twitta The Donald

Milano. Il ministero degli Esteri israeliano ha fatto sapere martedì di aver “temporaneamente ridotto” i legami di collaborazione con dodici dei quattordici paesi che hanno votato a favore della risoluzione 2334 – l’America si è astenuta – che condanna la politica degli insediamenti del governo di Benjamin Netanyahu. Contestualmente all’offensiva diplomatica, il governo di Israele ha stabilito un voto per oggi al comune di Gerusalemme per l’approvazione della costruzione di altre 600 “unità di alloggi” nella parte est della città, prima tranche di un progetto che comprende 5.600 unità. Il messaggio è chiaro: la risoluzione non avrà effetti sugli insediamenti, e come dice l’ex ministro Tzipi Livni gli altri paesi devono smettere “di dare Israele per scontato”. Il raffreddamento nei confronti dei dodici paesi procede di pari passo con il congelamento di fondi ad alcune agenzie dell’Onu. Molti in Israele sostengono che Netanyahu sta condannando il paese a un isolamento diplomatico rischioso, così come a destra e a sinistra ognuno recita la propria parte politica nei confronti del premier. Ma il problema, si sa, è l’America, anzi: Barack Obama. Il Congresso, che è a maggioranza repubblicana, già da giorni manifesta solidarietà a Israele contro il “tradimento” obamiano, mentre il senatore conservatore Ted Cruz ha chiesto di congelare i finanziamenti statunitensi all’Onu fino a che la risoluzione non sarà annullata. L’Onu è nel mirino anche del presidente eletto, Donald Trump, che già aveva tuittato: tutto cambierà dal 20 gennaio (con l’inaugurazione) e ha aggiunto che l’Onu “ha un così grande potenziale, ma ora è soltanto un club di persone che si incontrano, parlano e passano del tempo assieme. So sad!”.

 

 

Anche i democratici al Congresso non sono – per la maggior parte – contenti dell’astensione voluta da Obama all’Onu: Charles Schumer, che diventerà leader dei democratici al Senato nella nuova legislatura, ha fatto enormi pressioni sull’Amministrazione per il veto all’Onu, e quando non è arrivato ha detto in sintesi quel che molti pensano: l’astensione è “frustrante, deludente e contraddittoria”. La frustrazione, soprattutto, attraversa anche il mondo dei commentatori, che pure in questi anni aveva cercato di ridimensionare la frattura tra Obama e Netanyahu, e che oggi si trova ad ammettere che è molto profonda. Per minimizzare la delusione e la contradditorietà, alcuni ricordano che anche l’Amministrazione Bush jr votò a favore di una risoluzione (la 1515, nel 2003) che proponeva il congelamento di nuovi insediamenti: non è quindi la prima volta per Obama. Ma quella risoluzione rappresentava il primo passo verso la cosiddetta “road map” che doveva portare alla costruzione di uno stato palestinese attraverso i negoziati, cioè faceva parte di un processo in corso e condiviso. Oggi non esistono trattative né piani, e anzi l’Onu ambisce a imporre uno stato palestinese senza l’intermediazione israeliana.

 

Per Israele il punto dirimente poi non è soltanto lo smacco, personale e politico, quanto piuttosto la premeditazione. Da quanto Obama preparava questa mossa? La versione ufficiale della Casa Bianca è che la decisione all’Onu è stata presa nelle ultime ore prima della sessione, e secondo alcuni retroscena a spingere Obama all’astensione è stata la triangolazione di Israele con la nuova Amministrazione Trump e con l’Egitto. Ma si dice – l’ambasciatore israeliano a Washington, Ron Dermer, l’ha dichiarato in modo quasi esplicito – che esistano intercettazioni della presunta collusione tra obamiani e paesi arabi per isolare Israele sugli insediamenti (mostreremo le prove alla prossima Amministrazione, ha detto Dermer, che se vorrà le renderà pubbliche): questo dettaglio però non fa che allargare la distanza tra Israele e America, dal momento che da anni rimbalzano di qui e di là accuse di spionaggio reciproche.

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi