Usa e getta Israele
Trump anticipa tutti rassicurando Israele. Poi inizia il battibecco (durissimo) tra Kerry e Netanyahu
Milano. Prima del battibecco a distanza tra John Kerry e Benjamin Netanyahu, segretario di stato americano e premier israeliano, ha tuittato Donald Trump. Anticipando tutti, il presidente eletto ha rassicurato Israele: “Stay strong”, il 20 gennaio è vicino. Poi è andato in scena l’ultimo atto di una crisi che va avanti da venerdì, quando all’Onu l’America si è astenuta sulla risoluzione 2334 che condanna la politica degli insediamenti di Israele. Kerry ha rigettato le accuse di “abbandono”, e ha detto che la soluzione dei due stati è l’unica strada per la pace, ma è “a rischio”, a causa (anche) dell’aggressiva politica di insediamenti di Israele. Netanyahu ha risposto qualche ora dopo: come la risoluzione, anche il discorso di Kerry è “distorto” nei confronti di Israele, e il segretario di stato è “ossessionato” dalla questione degli insediamenti.
Accusando il governo Netanyahu di essere ostaggio dell’agenda dei settlers, Kerry ha spiegato (con un tono paternalistico) che gli Stati Uniti non hanno fatto alcuna svolta contro Israele, ma hanno rispettato “i loro valori”, che si fondano su una lunga storia – prima di Obama: il segretario di stato ha citato un articolo del New York Times del 1987, quando il presidente era Ronald Reagan – di pressioni per portare israeliani e palestinesi a un negoziato, che negli ultimi dieci anni si è focalizzato sulla road map per costruire due stati vicini e in pace. Kerry ha detto che non ci sono stati complotti, non ci sono stati incontri segreti come hanno sostenuto gli israeliani (e gli egiziani, terza parte ambigua di questa crisi), ma che anzi lui stesso aveva avvisato Israele che ci sarebbe stata entro l’anno una risoluzione sugli insediamenti e che la posizione americana non era diversa da quella degli ultimi trent’anni. Sulla questione degli insediamenti, sul governo israeliano “più a destra” di sempre, sulle istanze dei settlers, Kerry è stato molto duro: secondo il New York Times il segretario di stato voleva tenere questo discorso già due anni fa, ma Obama sosteneva che sarebbe stata una pressione fuori luogo nei confronti di Netanyahu. Se questa sia la ricostruzione esatta non si sa, ma il tono del segretario di stato è stato animato e preciso: non è colpa di Israele se non c’è la pace, ma la pace non ci sarà mai se Israele non esce dall’angolo in cui è rimasto insistendo con la costruzione degli insediamenti. Nella seconda parte del discorso, Kerry ha cercato di spiegare i passi per la pace (sei), ricordando che l’alleanza con Israele è fortissima (ha fatto un elenco piuttosto deprimente di quanti soldi gli americani spendono per gli israeliani) e che l’azione dell’Amministrazione è stata “incessante” nel condannare il terrorismo contro Israele e nel convincere i palestinesi che la pace si ottiene mettendo fine a ogni attacco.
Scetticismo, mancanza di fiducia, la paura che non ci sia reciprocità: questi sono i motivi per cui ancora non si è riaperta una trattativa diretta tra israeliani e palestinesi. Secondo Kerry, oggi bisogna fare di tutto per evitare che la soluzione a due stati “scivoli via”, perché “lo status quo porta verso uno stato solo, o l’occupazione perpetua”. Netanyahu ha risposto poco dopo – mentre sulle tv israeliane scorreva una breaking news allarmante: il procuratore generale ha aperto un’inchiesta contro il premier. Kerry non è equilibrato nei confronti di Israele, ha detto Netanyahu: per fortuna l’alleanza tra Israele e America sopravviverà anche a questa Amministrazione Obama, ma lui è stufo di sentire ramanzine su come si fa la pace da altri leader stranieri.