In Argentina Macri si lascia prendere dalla tentazione keynesiana
Il presidente argentino affida il ministero dell'Economia a Nicolas Dujovne nella speranza di incassare, quantomeno, i risultati mediatici di un colpo di scena
Roma. Mauricio Macri cambia ministro dell’economia. Esce la superstar Prat-Gay, l’artefice del complicatissimo accordo con i fondi statunitensi creditori di Buenos Aires e dell’abbandono del cambio fisso tra moneta nazionale (il peso) e dollaro. Entra un’altra superstar. Perché l’immagine è tutto nella difficile transizione politica argentina. Dal due gennaio il ministero sarà affidato a Nicolas Dujovne, firma di lusso dei commenti economici del quotidiano la Nación e volto noto della tv. Duvojne, 49 anni, destra liberale, era da tempo un consulente di Macri. Durante la campagna elettorale ha fatto parte della Fundación Pensar, una specie di Leopolda macrista, da cui uscì il manifesto programmatico del futuro presidente. E’ stato consulente della Banca mondiale a Buenos Aires e a Washington. Nei primi anni 90, durante l’era di Carlos Menem, lavorò con l’allora ministro Roque Fernández. Da un paio d’anni ha fondato una società di consulenza economica che porta il suo nome. A lui, che nell’ultimo anno dalle pagine de la Nación ha fatto le pulci all’azione economica dell’Argentina post kirchnerista, Macri mette in mano l’indirizzo economico nella speranza di incassare, quantomeno, i risultati mediatici di un colpo di scena. A Dujovne chiede di iniettare con sapienza piccole dosi di keynesismo, almeno apparente, per tener buona quella parte di società delusa dai costi sociali del nuovo corso.
Missione complicata per uno che, da osservatore, ha sempre sostenuto la necessità di diminuire la spesa per ridurre il deficit fiscale, anche perché il clima attorno al governo Macri non è lo stesso che, l’anno corso, accoglieva il debutto dell’annunciata “Revolución de la alegria”. L’inflazione cresce (era annunciata al 20 per cento e invece supera il 50). I licenziamenti aumentano. La sparizione dei sussidi governativi alle tariffe della luce e del gas rende impossibile per moltissime persone pagare le bollette. E non serve a placare le piazze spiegare ragionevolmente che quei sussidi non avevano copertura finanziaria. Esattamente un anno fa l’allora neoministro Prat-Gay così annunciava la fine del cambio fisso con il dollaro: “D’ora in poi chi vuole comprare dollari li potrà comprare, chi vorrà vendere dollari li potrà vendere. Così funzionano le economie del mondo”. Ma la svalutazione del peso, ovvia conseguenza della fine del cambio fisso, sommata agli aumenti delle bollette di luce e gas non più tenute artificialmente basse dai sussidi statali, sommata all’inflazione, ha alzato il costo medio della vita a un livelli che minacciano l’esplosione sociale.
Esplosione che è cominciata a covare già quando Prat-Gay, per annunciare la fine dei sussidi, disse in tv: “L’aumento della bolletta della luce che passa da 150 pesos a 350 pesos equivale al prezzo di due pizze”. Non fu un’uscita felice per un governo accusato dai suoi critici di essere insensibile alle esigenze dei non ricchi, attaccato dai peronisti di destra e di sinistra come un governo fatto da soli amministratori delegati estranei alla vita dei poveri cristi. Il nuovo ministro Dujovne, prima della nomina, scriveva che “l’identità del programma è ancora in via di costruzione per due ragioni: in alcune aree l’esecutivo non ha ancora deciso dove esattamente pensa di avanzare e, in altri casi, le idee non sono state adeguatamente comunicate (…). Riempire in maniera coerente questo vuoto di programma e di comunicazione deve essere l’obiettivo numero uno del governo”. Poi domandava: “E’ un obiettivo di medio periodo per il governo ridurre o perlomeno non aumentare le spese in termini reali? Non lo sappiamo. Se lo fosse, il governo lo dovrebbe spiegare: aiuterebbe così a risolvere la maggiore incognita macroeconomica dell’Argentina”. Toccherà a lui, dal due gennaio, spiegare come fare.