Cosa c'è alla radice dell'islam
Una ideologia di guerra, fatta di rivolta ed espansionismo, rimpiazzo delle altre fascine religiose che legano il grano della terra degli altri, degli infedeli. E’ così difficile ammetterlo, mio caro Adriano Sofri?
Adriano Sofri si domandava ieri a proposito di Amri, il tunisino della strage di Natale ucciso a Milano in uno scontro a fuoco, come si possa essere insieme un terrorista e un disgraziato senza arte né parte. Altri, in altri analoghi contesti, si domandano quale sia lo stato psichiatrico dei cosiddetti lupi solitari che in vario modo si richiamano o sono ricollegati allo Stato islamico califfale e comunque al jihad armato internazionale. Ci si riferisce alla loro età, alle loro esperienze di emarginazione e spesso di carcere, alle circostanze migratorie della loro venuta in occidente per alcuni, al loro grado di istruzione e integrazione comunitaria nelle periferie che abitano magari da due generazioni, alla loro povertà individuale e familiare. Si scruta tutto: la loro sessualità, la loro nozione e pratica dell’amicizia e della complicità comunitaria, ciò che li lega o li dislega dai coetanei musulmani e non musulmani, le musiche preferite, l’esibizionismo, il narcisismo e altre mille patologie sociali e personali.
D’accordo, il ritratto è di difficile composizione, e c’è sempre qualcosa che dice qualcosa d’altro, confonde, interroga. Non è vana né sempre pregiudicata da risposte contenute nelle domande – del tipo “questo non è islamismo politico armato” – la ricerca di informazioni e la loro diffusione con commento critico. Ci sono nella leggenda e nella storia rapinatori dei ricchi o assassini che sembrano combattenti per cause giuste o ingiuste, da Robin Hood a Vallanzasca, ma lo sfondo è analogo: violazione della legalità di tutti e dell’umanità degli altri allo scopo della promozione di sé nel mondo, ed è il simbolismo del criminale buono, o dell’annientamento dell’altro alla ricerca lurida di un guadagno per sé. Ogni gang ha la sua morale particolare, la sua ideologia di cosca, perfino la sua cultura irrigata di spirito religioso ed esoterico (i casi dei boss ipercredenti, le iniziazioni nella cosa nostra o nella camorra). Sono testimoni tra molti altri, compresi tanti colletti bianchi e corrotti e despoti, del male del mondo, per i mezzi che impiegano e nella maggior parte dei casi per lo scopo che perseguono e al quale commisurano i mezzi. Punto.
Poi ci sono i combattenti usciti dalla umma, che non è una cosca particolare ma un contesto religioso e antropologico di tendenza universalista, i martiri o shahid dell’islam politico moderno. Possono essere disgraziati o psicotici, possono essere tutto quello che vogliamo che siano, per le più diverse ragioni, ma hanno un’essenza, e per gli antimetafisici un’esperienza, che si riconosce e distingue dal resto. Per loro annientamento e autoannientamento, disponibilità al sacrificio di sé e degli altri, sono forme puriste, distillate, di distruzione in nome della salvezza. Il paradiso che cercano, per quanto oscuramente, confusamente, psicoticamente, nella disgrazia dell’essere loro, non è terreno, non è giustizia sociale rovesciata e pervertita, è paradiso tenebrosamente celeste, riscatto dell’umanità in un cielo scuro scuro di un’idea del divino come sottomissione e onnipotenza univoca, nasce dal comando di Allah, dal suo libro dettato a Maometto, dalla successione califfale incarnata o no, può essere uno stato una madrassa un singolo imam un padre educatore un fratello nella fede e molto altro.
Una sottile linea rossa li divide dagli islamici, questi islamisti, nel senso in cui il picciotto è legato a una società mafiosa in cui si praticano mille virtù accanto alla lealtà di gruppo, alla solidarietà di sangue familiare e sociale e comunitario. Ma l’islam è convenzionalmente definito una religione di pace nel significato in cui si dovrebbe intendere una mafia criminale come scuola di solidarietà, di legame personale e di gruppo, di alleanza contro poteri forti o fortissimi sentiti come oppressivi. La disgrazia è che alla radice islamista dell’islam sta una ideologia di guerra, fatta di rivolta ed espansionismo, di rimpiazzo delle altre fascine religiose che legano il grano della terra degli altri, degli infedeli. Non tutti i combattenti sono disgraziati senza arte né parte, non tutti adoperano mezzi loscamente facili per fare strage, si va dall’addestramento al volo dei maestri sofisticati dell’11 settembre alla guida di un tir per le strade della città. Non tutti fanno parte di una rete che si possa vedere e toccare con investigazioni dimostrative, ma le reti impalpabili non sono forse la quint’essenza della fase in cui viviamo? Perché ci riesce così difficile l’operazione razionale del distinguere, dell’identificare, del connotare i combattenti, anche quando operano sotto la luce artificiale dei servizi che li seguono e li controllano e li fotografano in giro per l’Europa senza impedirgli di raggiungere i risultati opachi e di tragico lutto che perseguono, perfino quando ne siano solo parzialmente consapevoli? Il caso Amri dimostra che il diritto ordinario, la sociologia ordinaria, l’indagine convenzionale, tanto meno l’analisi storica o politica ispirata al politicamente corretto, hanno la forza di conoscenza necessaria alla difesa della sicurezza collettiva, cercando di intendere la sicurezza non come un totem o un tabù ma come un tema su cui si regge l’insieme sociale e il modo di vita riconoscibile in tutti i paesaggi occidentali giudaico-cristiani e nel resto del mondo non islamico.