Hamas punisce l'Isis in casa, ma chiude gli occhi al confine
Quel rapporto di disprezzo e collaborazione tra l'organizzazione palestinese nella Striscia di Gaza e lo Stato islamico in Egitto
Roma. Dopo l’attentato palestinese che domenica ha ucciso quattro soldati a Gerusalemme, le Brigate Qassam del gruppo Hamas hanno rivendicato l’operazione e hanno detto che l’autore era uno dei loro. Invece il primo ministro Benjamin Netanyahu ha detto: “Tutti gli indizi ci dicono che era un sostenitore dell’Isis”. Ecco una ricognizione dei rapporti tra i due gruppi islamisti. Hamas e lo Stato islamico hanno in comune alcuni metodi per attaccare – veicoli e coltelli, le tecniche si somigliano perché non ci sono modi infiniti di aggredire in ambienti controllati come Israele oppure in ambienti dove scarseggiano le armi da fuoco come in Europa. Dal punto di vista ideologico sono differenti, al punto da considerarsi nemici, anche se si tratta di un’inimicizia ad assetto variabile, come spesso accade in medio oriente.
Abu Omar al Baghdadi, capo dello Stato islamico fino alla sua morte nel 2010 (da non confondere con il suo successore, Abu Bakr al Baghdadi) definì Hamas “un gruppo di idioti”. I rimproveri principali sono da sempre due: Hamas ha accettato di correre alle elezioni, quindi in qualche modo ha legittimato il sistema della democrazia, che per lo Stato islamico è blasfemo perché in concorrenza diretta con la legge di Dio; numero due, Hamas accetta aiuti e finanziamenti da governi come il Qatar, male, e come l’Iran, malissimo perché centro mondiale del potere sciita (i sunniti dello Stato islamico considerano gli sciiti il loro nemico acerrimo, più ancora degli ebrei). Questa inimicizia è ricambiata da Hamas, che teme gli ultra-fanatici e il loro potenziale di scatenare conflitti contro Israele al momento meno opportuno e per questo compie raid e retate all’interno della Striscia di Gaza per arrestare in blocco quei gruppuscoli salafiti che si considerano cellule dello Stato islamico. Sono cellule piccole, che a intervalli regolari fanno uscire video su internet in cui gli uomini sono copertissimi, volti mani e corpi, perché sanno che Hamas è più efficiente dei servizi segreti degli altri paesi arabi quando si tratta di neutralizzare con brutalità i rivali interni. Una cellula si chiama Battaglione dello sceicco Omar Hadid, dove Omar era il leader iracheno che combatté al fianco del giordano Abu Musab al Zarqawi nella battaglia di Falluja, anno 2004. Più amore per l’Isis di così, non si potrebbe sfoggiare (e infatti il “battaglione” è affiliato al Wilayat Sinai, la divisione egiziana dello Stato islamico – lo dicono fonti dello stesso gruppo estremista).
Il rapporto tra Hamas e lo Stato islamico però non è così netto, non c’è soltanto inimicizia. Dentro Gaza i servizi di sicurezza di Hamas sono duri contro i locali che si fanno tentare dalla deriva verso al Baghdadi. Fuori da Gaza, però, al confine sud, quindi nella penisola del Sinai, hanno un rapporto utilitaristico con lo Stato islamico che infesta l’area e combatte una guerriglia logorante contro l’esercito egiziano. Secondo una bella analisi pubblicata dall’analista italiana Benedetta Berti (lavora in Israele) per il think tank Carnegie, Hamas scambia armi con i baghdadisti egiziani e talvolta li ospita nei suoi ospedali di Gaza, dove possono ricevere cure mediche che nel Sinai non troverebbero. In cambio, lo Stato islamico non fa quello che potrebbe fare con una certa facilità, ovvero strozzare le linee di rifornimento di contrabbando – le poche rimaste – che dal deserto vanno verso la Striscia. I fanatici si muovono nel mondo clandestino che vive a ridosso della linea di confine, hanno contatti con i clan tribali, se volessero potrebbero rendere la vita di Hamas molto dura – come già fa l’esercito del presidente Abdel Fattah al Sisi, che allaga i tunnel del contrabbando con acqua di fogna per renderli inservibili e collabora con Israele per la sorveglianza (al punto che i droni israeliani possono colpire in quella fascia del Sinai, ma è una notizia che non è mai stata confermata in via ufficiale). A questa ambiguità politica – un po’ nemici, un po’ collaboratori – si aggiunge anche che alcuni combattenti di Hamas lasciano il movimento e si vanno ad arruolare nello Stato islamico e si tratta di casi in aumento: un video da Mosul uscito a dicembre mostra un ex comandante della polizia di Hamas morto di recente in Iraq, e un altro video dal Sinai – uscito anche questo a dicembre – mostra un altro uomo di Hamas finito a combattere e poi ucciso con lo Stato islamico in Egitto.